lunedì 15 gennaio 2024

PRODUZIONE DI REGINE SENZA IL TRASLARVO

Ringrazio Romano Nesler che con il suo grande sapere e la sua immensa competenza in campo apistico è sempre pronto a mettere a disposizione di tutti le sue conoscenze. Il metodo di cui vi parlerò l'ho appreso da una sua interessantissima lezione ed è relativo alla produzione di api regine che avviene senza la necessità di eseguire la tecnica del traslarvo. Si tratta del metodo Muller molto utilizzato nell'Est Europa. 
La correlazione iconografica che troverete nel post è tratta da slide della presentazione fatta da Romano  Nesler, al quale penso vada un caloroso ringraziamento da parte di tutti per la sua propensione e la sua saggia disponibilità a voler sempre condividere le sue preziosissime conoscenze con apicoltori sia all'inizio della loro attività sia già con maggior esperienza. 



Si parte utilizzando un vecchio favo di cera che viene tagliato a strisce, le quali verranno poi inserite in una famiglia. La regina provvederà immediatamente a deporvi delle uova il giorno seguente ritireremo le strisce di favo, contenenti uova appena deposte, e procederemo come segue.








Una volta ritirate le strisce di favo contenenti le uova le si tagliano in piccoli segmenti rettangolari e le si fissano, con l'utilizzo di viti, alle stecche di un telaio porta stecche.






Ultimazione del telaio porta stecche. Purtroppo, come è facilmente comprensibile le uova deposte nella parte di favo che rimane in continuità con la stecca di legno andranno perse, ma questo a noi poco importa. Sarebbe meglio inserire le stecche in famiglie orfane e senza covata così che siamo sicuri che esse (per forza di cose) costruiranno celle reali.






Dopo 14 giorni tutte le celle reali saranno completamente chiuse e il sedicesimo giorno nasceranno le nuove regine. Quindi, sempre al quattordicesimo giorno provvederemo a recuperare le celle reali e a staccare le stecche di legno tagliandole in più pezzi che portano ciascuno più celle reali, a questo punto si tagliano le stecche ricavandone dei piccoli segmenti con 2 o più celle.









Frammenti di stecche sezionata con taglio delicato pronti per essere inseriti in famiglie orfane








Fissaggio del gruppo di celle su telaio










Dopo aver completato questa operazione e aver preparato, il giorno prima, i nuclei  orfani si vanno a inserire le celle in posizione centrale fra i favi di covata. Le nuove  regine nasceranno dopo due giorni. E' molto importante non aprire più i nuclei fin tanto che non siamo sicuri che le regine siano state sicuramente fecondate.



 

giovedì 11 gennaio 2024

ARNIA A BASSO CONSUMO ENERGETICO

 

Prima di parlare dell’arnia a basso consumo energetico è bene ricordare le modalità attraverso le quali si ha una dispersione di calore da un ambiente a un altro. La trasmissione di calore avviene quando esiste un gradiente di temperatura all’interno di un sistema oppure quando due sistemi a temperatura diversa vengono posti in contatto. La grandezza in transito è il calore che, come il lavoro, produce una variazione dell’energia interna di un sistema. Quindi, lo “scambio termico” può essere semplicemente definito come la trasmissione di energia da una regione ad un’altra, dovuta ad una differenza di temperatura. Esso avviene fondamentalmente attraverso conduzione, convenzione e irraggiamento.

. La conduzione è un processo mediante il quale il calore fluisce da una regione a temperatura maggiore verso una regione a temperatura minore attraverso un solo mezzo (solido, liquido o aeriforme) o attraverso mezzi diversi posti a diretto contatto fisico. Nella conduzione, l’energia si trasmette per contatto diretto tra le molecole. L’irraggiamento è un processo mediante il quale il calore fluisce da un corpo a temperatura maggiore verso un corpo a temperatura minore, quando i due corpi non sono a contatto, anche se tra di essi c’è il vuoto.

L’energia raggiante viaggia alla velocità della luce e presenta una fenomenologia simile a quella delle radiazioni luminose: infatti, secondo la teoria elettromagnetica, la luce e l’irraggiamento termico differiscono solo per le rispettive lunghezze d’onda. Il calore irraggiato è emesso da un corpo sotto forma di quantità discrete di energia dette quanti. La trasmissione del calore irraggiato è simile alla propagazione della luce e può essere perciò descritta mediante la teoria delle onde; quando le radiazioni incontrano un altro corpo, la loro energia resta assorbita in prossimità della superficie. Lo scambio termico per irraggiamento diventa sempre più importante al crescere della temperatura di un corpo. La convezione è un processo di trasporto di energia che avviene mediante l’azione combinata della conduzione, dell’accumulo di energia e del mescolamento.

Questa situazione induce le api a sviluppare un maggior lavoro di contrazione muscolare indispensabile a mantenere i livelli di temperatura ottimali, lavoro muscolare che necessariamente comporterà un maggior dispendio energetico da parte delle stesse che equivale ad un maggior consumo di cibo e a un più precoce invecchiamento delle api stesse con conseguente riduzione della loro aspettativa di vita. È proprio sulla base di questo concetto che nasce l’idea e l’esigenza di creare un’arnia a così detto “basso consumo energetico”.

L’arnia a basso consumo è una struttura semplice che può essere applicata e adattata a qualsiasi modello di arnia Langstroth, Dadant, Voirnot etc. La modifica avviene predisponendo delle strutture di isolamento all’interno della stessa, strutture in grado ri riflettere verso il glomere le radiazioni di calore che da esso diffondono nell’ambiente circostante così da mettere le api in condizione di poter gestire nel modo migliore la temperatura dentro al loro nido senza che essa possa essere influenzata dal clima esterno all’alveare.


La sua costruzione inizia nel preparare un telaio che abbia le dimensioni di un copri favo e che verrà isolato da un lato con un pannello di polistirene e dall’altro con un film riflettente in alluminio dotato di bolle d’aria così da ridurre la trasmittanza del pannello, di zigrinature capaci di aumentare la superficie riflettente, film che grazie alla impermeabilità esterna dell’alluminio è allo stesso tempo capace di esercitare un effetto anticondensa. Il pannello così preparato lo adageremo al fondo dell’arnia con il foglio di polistirene rivolto verso l’esterno della stessa così da creare un buona isolazione e il foglio di alluminio rivolto verso l’interno in maniera tale che possa riflettere verso le api tutto il calore prodotto dal glomere. 





Nella parte anteriore del pannello si effettuerà una fessura lineare di pochi millimetri di dimensione (20 mm di larghezza e 3/4 di altezza) che servirà a consentire l’andirivieni delle api dal loro alveare. 









Una volta adagiato il pannello al fondo dell’arnia potremo posizionare il corpo della stessa sopra di lui come si fa solitamente. 









Fatto questo andremo a predisporre dei diaframmi isolanti da inserire anche all’interno dell’arnia in modo tale da trasformare il nido in un qualcosa di similare a un contenitore termico montato però al contrario. Per far ciò utilizzeremo dei normali telai in legno al cui interno vi mettiamo un pannello di polistirene che avvolgeremo esternamente con il solito foglio riflettente in alluminio dello spessore di 3 mm ritagliandolo in maniera tale che arrivi a toccare le pareti interne dell’arnia così da non consentire alcuna dispersione di calore e qualsiasi corrente d’aria. 







Metteremo un primo diaframma isolante a ridosso della parete laterale dell’arnia; quindi, inseriremo i favi di covata e li racchiuderemo con una nuova sponda fatta da un altro telaio isolante, al di là del quale posizioneremo i favi contenenti il miele e successivamente un nuovo telaio isolante. In questo modo creeremo la stessa organizzazione (in maniera orizzontale) che le api hanno in natura all’interno di un nido verticale sito in un tronco nel quale troveremo favi in alto contenenti miele e polline; quindi, favi vuoti che impediscono il formarsi di un ponte termico e infine favi con covata sui quali esse vivono e fanno il glomere. Questa disposizione consente loro di mantenere la temperatura e l’igrometria del nido a un giusto livello, il miele in alto è più freddo la covata in basso è più calda. Termo immagini effettuate su di un arnia a basso consumo hanno dimostrato come la temperatura nello spazio destinato alla covata sia intorno ai 33/34°C mentre quella nella camera che contiene i favi con il miele è di 26/27°C.  Le api per trasferirsi dalla camera di covata a quella contenete i favi con il miele passeranno al di sotto dei diaframmi coibentati, fra essi e il pannello isolante posizionato sul fondo, dove avranno a disposizione uno spazio non superiore allo spessore di un dito così da riuscire a passare tranquillamente da un lato all’altro.


Infine, chiuderemo la parte alta dell’arnia con un foglio di alluminio riflettente ma che abbia uno spessore e una consistenza maggiore rispetto a quelli utilizzati in precedenza sopra al quale metteremo un pannello isolante in polistirene dello spessore di 3/4 cm. Completate queste operazioni potremo posizionare il tetto dell’arnia, anch’esso coibentato all’interno, che sarebbe meglio dipingere esternamente di colore bianco così che durante i periodi estivi di intensa canicola abbia temperature anche inferiori di 20°C rispetto a quelle che si registrano su tetti lasciati di color alluminio.

 

 






mercoledì 10 gennaio 2024

IN APIARIO A GENNAIO

 

Gennaio è arrivato e con lui anche il vero inverno e una nuova stagione apistica sta per cominciare, sperando che il freddo e la neve non disertino il loro usuale appuntamento. Il guardiano delle api può permettersi giornate relativamente tranquille, senza però scordarsi di buttare sempre un occhio all’apiario. Se ci saranno nevicate, specie se abbondanti, è opportuno rimuovere la neve dall’ingresso degli alveari poiché essa è permeabile ai gas, ma se dovesse ghiacciare potrebbe alterare il corretto ricambio d’aria all’interno dei nidi. In questo periodo della stagione le giornate iniziano progressivamente e costantemente ad allungarsi, mentre fra gli arbusti inizia il debutto delle fioriture del nocciolo e le famiglie all’interno delle loro casette continuano, fortunatamente, a proteggersi dal freddo consumando pian piano le loro riserve alimentari. In questa ideale condizione il peso dell’alveare diminuisce in media di 500/1000 grammi al mese. Controlliamo che le arnie non diventino troppo leggere, in caso contrario non esitiamo a somministrare del candito, sarà molto gradito alle nostre amichette e ci aiuterà a non lasciar morire di fame le preziose famiglie che custodiamo. Per il resto il mese di gennaio, per noi apicoltori, è forse il periodo più tranquillo durante il quale possiamo goderci un meritato riposo leggendo magari quelle riviste e/o quei libri di apicoltura che avremo sicuramente trovato sotto l’albero il giorno di Natale. Verso il finire di gennaio, un pochino più tardi nelle zone maggiormente a nord, all’interno del nido riprenderà l’attività di cova da parte della regina. Le giornate più lunghe e la maggior intensità di luce, che riuscirà a passare all’interno dell’alveare introducendosi dalla porticina di volo, stimolano le api a consumare una più grande quantità di miele e di polline e a produrre più pappa reale per sostenere la regina nella sua attività di cova. In una bella e tiepida giornata potremmo provare a rimuovere il tetto dell’arnia e a posare la nostra mano sul coprifavo e se avvertissimo un piacevole tepore, cosa sicuramente molto auspicabile, sarà il segno che ci troviamo alla presenza di una famiglia forte e vigorosa.

Se altro tempo ce ne rimane, non sprechiamolo, utilizziamolo per far pulizia intorno ai nostri alveari rimuovendo rovi e sterpaglie che impediscono alle api di aver un buon ricambio d’aria all’interno del nido e a noi di avere un comodo passaggio da utilizzare per posare e rimuovere i melari quando sarà giunta l’ora. Come sostiene un vecchio e saggio detto: “ là dove il carretto non passerà sarà la schiena dell’apicoltore che soffrirà”, permettetemi, a questo proposito, un consiglio da vecchio e consumato ortopedico: lavoriamo sempre utilizzando un corsetto semirigido, quando si è giovani le fatiche non si sentono, ma quando i primi capelli iniziano a ingrigire la nostra colonna vertebrale ci rinfaccerà tutte le fatiche a cui l’abbiamo sottoposta nell’arco degli anni!

Verso la fine di gennaio anche se le arnie sono ancora discretamente pesanti, segno che in esse sono presenti delle buone riserve di cibo, io preferisco comunque somministrare del candito sarà sicuramente cosa gradita che permetterà alle mie apette di risparmiare consumo di miele e polline immagazzinato che diventerà una preziosa riserva sul finire di marzo e a inizio aprile in periodi di lunghe e abbondanti piogge. Gennaio è anche il tempo per l’apicoltore di dedicarsi alle attività di magazzino: riparare le vecchie arnie, pulirle, riverniciarle piuttosto che proteggerle con impregnante a base di olio di lino cotto secondo le proprie abitudini e preferenze. Ricordiamoci che non esistono prodotti miracolosi che possano regalare protezione ad un legno di cattiva qualità, mentre se abbiamo arnie costruite con buon legno esse resisteranno negli anni, questo è il motivo per cui non bisogna mai lesinare sulla qualità del materiale che acquistiamo perché in questo caso vale proprio la regola, come cita un vecchio e saggio detto, che “chi più spende meglio spende”. Approfittiamo anche di queste giornate non solo per ridipingere le vecchie arnie, ma anche per disinfettarle e, a mio avviso, una più che soddisfacente disinfezione la possiamo ottenere semplicemente passando a fiamma l’interno della cassa con l’utilizzo di un chalumeau. Occorrerà “flambare” bene l’interno fino a che non vedremo il legno divenire di colore bruno così avremo la certezza di aver eliminato la quasi totalità dei germi che in esso si annidano, ricordiamo, infatti, che le spore della peste resistono fino alla temperatura di 140°C. Se invece possediamo delle arnie di plastica, occorrerà lavarle all’interno con della soda caustica, non prima di aver indossato tutte le protezioni necessarie al fine di proteggere i nostri occhi e il nostro corpo.

Gennaio è anche il mese in cui si organizzano molti corsi di apicoltura, se avete partecipato ad uno di questi e la vostra intenzione è quella di debuttare in questa meravigliosa disciplina, qual è l’apicoltura, ora è il periodo opportuno per acquistare il materiale necessario cominciando proprio dalle arnie ricordando che le api nel bene e nel male si adattano a qualsiasi tipo di spazio per cui saremo noi a dover scegliere il tipo di arnia più consono al modello d’apicoltura che abbiamo deciso d’intraprendere. Probabilmente il metodo meno complicato per gestire l’attività d’apicoltore lo garantisce l’arnia orizzontale (arnia keniana): è un’arnia a venti telai che ci permette di allevare con discreta semplicità le nostre api, anche se, con questo modello, è un po’ complicata la raccolta del miele. Se amiamo un’apicoltura che permette all’ape di crescere come farebbe in natura, ossia sviluppando la colonia dall’alto verso il basso, allora è meglio dirigersi verso un’arnia ecologica (Warré migliorata), in questo caso sarà più semplice la raccolta del miele e non sarà necessario dotarsi di un banco per disopercolare e nemmeno di una centrifuga. Infine, se avessimo, invece, deciso di praticare un’apicoltura, così detta, moderna non ci resterà che rivolgerci verso l’acquisto di un’arnia tradizionale composta da un corpo (il nido) e dai melari tipo l’arnia Dadant e/o la Langstroth.

Sul finire di gennaio noi, così come le nostre apette, inizieremo a intravvedere l’avvicinarsi di una prossima primavera che presto verrà a bussare alle porte, è giunto il momento di sintonizzarci al meglio sulle frequenze dei nostri alveari per sostenere nel migliore dei modi le nostre guerriere rombanti nel momento della piena ripresa della loro attività.

 

 



martedì 9 gennaio 2024

CORSO BASE DI APICOLTURA 2024

 

Visto il grande riscontro ottenuto lo scorso anno, a febbraio c. a. si terrà, presso la biblioteca comunale di Costa Masnaga, la nuova edizione del corso base di apicoltura. L'iscrizione all'evento è gratuita ma i posti sono limitati. Per chi fosse interessato e abitasse nelle vicinanze consiglio di affrettarsi a iscriversi prenotando gli ultimi slot rimasti disponibili. Nella locandina sottostante troverete i riferimenti utili per effettuare l'iscrizione.



mercoledì 27 dicembre 2023

DIRETTIVA COLAZIONE

 

La Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, in questo mese ha approvato all’unanimità la posizione riguardante la “Direttiva Colazione”, essa riguarda le nuove norme di denominazione di vendita e di etichettatura del miele e di altri prodotti alimentari di largo consumo in Europa. La tutela dei mieli italiani ed europei dalla importazione di prodotti di bassa qualità, è uno degli obiettivi che si prefigge codesta direttiva. Il bersaglio principale della nuova direttiva mira a colpire, in maniera particolare, le miscele, infatti, una delle principali disposizioni riguarda l’obbligo di riportare sull’etichetta, accanto al nome commerciale del prodotto, il paese di origine del miele. In caso di mieli provenienti da più di un paese, ogni paese dovrà essere indicato sull’etichetta, seguendo un ordine decrescente. Le miscele di miele saranno quindi consentite, ma il consumatore finale potrà scegliere, consapevolmente. La direttiva prevede, inoltre, l’introduzione del sistema blockchain per rafforzare la tracciabilità, già prevista dal Regolamento (CE) 178/2002; l’eliminazione della dicitura “miele filtrato” per quei mieli a cui vengono rimossi parti di polline, con sistemi di ultrafiltrazione, impedendo la corretta identificazione di carattere geografico;  la definizione di “miele grezzo” o “miele non riscaldato”; il divieto di commercializzazione per miele la cui deumidificazione non viene svolta naturalmente dalle api ma tramite processo di evaporazione sotto vuoto.  Questa normativa renderà così possibile che le miscele di miele attualmente consentite in tutta l’Unione europea siano controllate e che l’etichetta debba indicare tutti i singoli Stati membri e, in particolare, gli Stati non membri da cui il miele proviene. 

A seguito della approvazione della "Direttiva Colazione" riporto un primo positivo commento rilasciato dall’Osservatorio Nazionale Miele rilasciata, a chiusura di un suo comunicato: 
“la nostra legislazione in materia di etichettatura del miele è la più restrittiva in Europa, vederla applicata, ancor più stringente, in ogni Paese dell’Unione è sicuramente un vantaggio e premia l’impegno che il nostro paese assicura da molti anni per il sostegno, la qualificazione e la valorizzazione del settore”. 

lunedì 18 dicembre 2023

IL VELENO D'API

 

Vi voglio raccontare una storia che risale ormai a molti anni fa quando ancora giovane medico, da poco specializzato in ortopedia, diagnosticai alla mia zia Ivana un dito a scatto e le consigliai il trattamento chirurgico. Fu proprio allora che rimasi meravigliato nel sentire la risposta della zietta: “ se non ti offendi prima di farmi operare preferirei sottopormi ad un trattamento di api terapia presso un medico che professa questa pratica”. “ Certo che no ” le risposi io, non senza tradire un senso di irriguardevole stupore. Dopo solo due sedute la mano della zia guarì perfettamente. Allora ero ancora un giovane medico bramoso di mettere in pratica le tante nozioni acquisite negli anni di studio e nel reparto di chirurgia della mano dove già da tempo lavoravo e dove lavoro tuttora; allora ero certo più incline a colpire di bisturi piuttosto che non di pungiglione. Non diedi peso a quella “strana” guarigione giudicandola più frutto di un atto di “stregoneria” piuttosto che altro. La mia carriera di medico è comunque proseguita felicemente senza che mi prendesse la paura di poter perdere il lavoro  per la “rivalità” di qualche puntura d’ape, ma senza nemmeno poter prevedere che un giorno mi sarebbe mai potuta capitare la grandissima fortuna di entrare con prepotenza in quello splendido e fantastico mondo dell’apicoltura. Da allora di anni ne son passati, molti capelli se ne son purtroppo andati e per giunta quei pochi che son rimasti si sono pure ingrigiti, la mia “ bramosia” di “colpir di bisturi” si è nel tempo affievolita, mentre si è andata via via  accrescendo in me quella meravigliosa virtù che nei più “adulti” viene chiamata saggezza.

Sarà forse stato proprio quel pizzico di saggezza in più a riportarmi in mente la storia della mia zia Ivana e del suo dito a scatto, curato con veleno d’api, ed a stuzzicare le mie voglie di approfondire l’argomento. Così iniziai a sfogliare riviste scientifiche che mi aiutarono a scoprire che              le conoscenze riguardo alle proprietà curative del veleno d’api hanno origini lontanissime, il ritrovamento di alcuni manoscritti, su papiro, attesta che già duemila anni or sono nell’antico Egitto si praticasse lo “strofinamento” di veleno d’api su parti dolenti del corpo quale rimedio al dolore stesso. Nel succedersi degli anni trattamenti similari vennero poi descritti da Plinio il Vecchio, Galeno, Carlo Magno, fino a che nel 1864 non fu pubblicato il primo trattato relativo agli studi clinici eseguiti sull’impiego del veleno d’api nel trattamento delle affezioni reumatiche. Fu tuttavia soltanto ai primi del Novecento che l’apiterapia iniziò a diffondersi rapidamente in Europa ed in seguito anche in America. Questa terapia che sembrava avere del “ miracoloso” conobbe però nel giro di qualche anno un inaspettato declino dovuto principalmente al fatto che in essa furono riversate eccessive aspettative e che proprio a causa di quest’ultime il trattamento veniva impiegato anche per patologie per le quali non esisteva una corretta indicazione terapeutica vanificandone di fatto l’efficacia. Attualmente possiamo affermare che questa metodologia terapeutica non può e non deve considerarsi come l’unica via percorribile per il trattamento delle affezioni citate, ma va comunque considerata come una buona integrazione ed un valido coadiuvante del trattamento classico di queste malattie oppure come una importante alternativa in caso di fallimento delle terapie convenzionali. Il veleno  è secreto dalle ghiandole caudali delle api operaie ed è un liquido incolore con un forte odore caratteristico. Per l’ottantacinque per cento è composto da acqua e per il quindici per cento da sostanze secche farmacologicamente attive; tali sostanze sono rappresentate da un insieme di enzimi, peptidi e proteine, zuccheri, fosfolipidi ed alcune componenti volatili che ne determinano il caratteristico odore. Fra tutte queste componenti troviamo:

1.  sostanze a basso peso molecolare  come istamina, dopamina, norepinefrina, oligopeptidi, fosfolipidi, carboidrati e aminoacidi;

2.  sostanze ad alto peso molecolare  principalmente enzimi quali le fosfolipasi, la ialuronidasi e la glicosidasi;

3.   peptidi  mellitina, apamina, peptide degranulante i mastociti, secapina, tertiapina, procamina ed un inibitore delle proteasi.

Istamina, norepinefrina (sono sostanze vasoattive provocano vasodilatazione con comparsa di rossore e calore ) e  dopamina (neurotrasmettitore ) sono presenti in grande quantità, anche se il 50% dell’estratto secco è rappresentato dalla mellitina una sostanza in grado di provocare la disgregazione delle membrane cellulari ( coadiuvata dall’azione delle fosfolipasi enzimi che digeriscono i grassi presenti nelle membrane) con conseguente liberazione, da parte delle cellule danneggiate, di sostanze come l’istamina responsabili della insorgenza dello stimolo “infiammatorio – doloroso”, della comparsa dell’edema ( gonfiore ), di un ulteriore aumento dell’afflusso di sangue per vasodilatazione ( rossore e calore) mentre le ialuronidasi “sciogliendo” il tessuto connettivale facilitano la diffusione del veleno nello spazio intercellulare. Altre sostanze proteiche presenti nel veleno hanno invece un’azione antigenica ossia stimolano la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario; il veleno d’api possiede anche un’ azione antinfiammatoria da ricondurre alla mellitina, sostanza in grado, fra l’altro, di stimolare un aumento della produzione del cortisolo endogeno ( cortisone ) ormone con forte azione antinfiammatoria, ma anche in grado di produrre un aumento della glicemia nel sangue, questo è il motivo per cui nel diabetico è controindicata l’apiterapia; l’uso del veleno è inoltre controindicato in pazienti con ipertensione arteriosa che assumono farmaci beta bloccanti; in pazienti con insufficienza renale ed in pazienti cardiopatici gravi. Oltre alla attività antinfiammatoria al veleno d’api vengono riconosciute proprietà batteriostatiche ( blocca la crescita batterica), battericide ( provoca la morte dei batteri ).


Le principali patologie che beneficiano positivamente del trattamento con veleno d’api sono:   

·       patologie reumatiche: come l’artrite reumatoide, che sono malattie sistemiche ( interessano l’intero organismo) e sono causate dalla formazione di autoanticorpi, ossia anticorpi che aggrediscono componenti del proprio organismo come tendini, cartilagini, tessuti sinoviali articolari od organi interni;

·       l’artrosi: ( processo degenerativo a carico delle cartilagini articolari ) delle grandi e piccole articolazioni;

·       le tendiniti: infiammazioni dei tendini come per esempio il dito a scatto o il gomito del tennista;

·       lombalgia, cervicalgia: infiammazioni dell’apparato “muscolare – tendineo” paravertebrale che possono insorgere a seguito di un’artrosi della stessa colonna vertebrale, a traumi distorsivi ( per esempio il colpo di frusta ) e/o a carichi di lavoro eccessivi eseguiti in posizioni scorrette;

·       neuropatie periferiche: per esempio la sindrome del canale carpale;

·       la sclerosi multipla: l’impiego dell’apiterapia per il trattamento di questa patologia è ancora in fase di studio, pare tuttavia che il trattamento prolungato produca benefici come la stabilizzazione della stessa malattia, la sensazione di un minor senso di stanchezza a carico dell’ammalato ed una relativa minor insorgenza di spasmi muscolari; 

·       cheloidi : ( cicatrici ispessite ed esuberanti ) l’iniezione di veleno d’api nel tessuto cicatriziale produce un assottigliamento della cicatrice migliorandone anche l’aspetto estetico attraverso la modificazione del colore discromico che spesso le caratterizza. 

 

Esistono sostanzialmente due metodologie attraverso le quali praticare l’apiterapia una prevede l’utilizzo di una pinza chirurgica con la quale si preleva l’ape portandola in prossimità del distretto corporeo in cui si desidera procurare l’inoculazione del veleno ed appoggiando la “coda” alla cute si provoca la puntura da parte dell’ape con la conseguente morte della stessa. Personalmente, in quanto medico per vocazione ma apicoltore per passione, ritengo che questa metodologia sia una pratica “ rozza e barbarica “ non rispettosa della “dignità” dell’ape, inoltre con questa metodica non è possibile dosare la corretta quantità di veleno, da intendersi come quantità di sostanza farmacologicamente attiva, che si inietta nel paziente; infatti ogni puntura comporta la secrezione di una dose di veleno molto variabile  compresa fra 0,1 e 0,5 milligrammi. La seconda metodologia prevede la preparazione di “apitossina” direttamente in laboratorio; si produce una lieve differenza di potenziale elettrico su di una membrana sottilissima, introdotta nell’arnia, sulla quale si trovano le api che  vengono così indotte a rispondere con una puntura, la tossina secreta passa attraverso la membrana e viene raccolta e successivamente trattata in laboratorio, questa metodica non comporta il sacrificio dell’ape e permette  di preparare fiale contenenti una quantità di veleno liofilizzato perfettamente dosata. Il farmaco che se ne ricava viene poi somministrato con iniezione praticata per via intradermica e/o sottocutanea direttamente sui “ trigger point”  ( punti in cui è localizzato il dolore ) o in alcuni punti utilizzati anche nella pratica dell’agopuntura. Una volta iniettata la tossina produce reazioni che sono variabili da individuo ad individuo e vanno da un forte dolore accompagnato da rossore e calore con possibilità di comparsa di edema ( gonfiore ) localizzato nella sede di inoculo e/o esteso a tutto l’arto fino alla comparsa di dolori diffusi e generalizzati a tutte le articolazioni. A tali sintomatologie si può anche associare un senso di spossatezza, nausea e cefalea; questi “effetti collaterali” non comportano comunque ne un ostacolo ne una controindicazione al trattamento.  Nei casi più gravi,  fortunatamente estremamente rari, in soggetti allergici ( si calcola una persona su centomila ) la somministrazione dell’apitossina può provocare una importante reazione sistemica con comparsa di shock anafilattico che se non trattato con urgenza e corretta competenza può portare alla morte del paziente. Questo è il motivo per cui è bene che la pratica dell’apiterapia venga sempre e comunque esercitata da personale medico.                                           Concludendo la storia della zia Ivana possiamo affermare che l’apiterapia è senz’altro da considerarsi una valida metodica sia di supporto che in alternativa alle pratiche mediche convenzionali in uso per il trattamento delle patologie sopra elencate, (qualora queste ultime si siano rivelate inadeguate), purché esercitata con sapienza e buon equilibrio. Il giusto equilibrio, nella pratica medica, è quello che dobbiamo sempre ricercare per evitare che  ad ogni nostra azione non ne segua una uguale e contraria in grado di provocare effetti dannosi per la salute del paziente; il giusto equilibrio è quello che dobbiamo impegnarci a ricercare nel dare la corretta indicazione all’utilizzo clinico dell’apiterapia  perché la stessa possa rivelarsi un utile risorsa nel trattamento medico senza trasformarsi in una pratica di alta “stregoneria” in grado di provocare benefici irrisori se non addirittura danni importanti al malato che abbiamo deciso di sottoporre a questo tipo di cura. Il giusto equilibrio, guarda caso, è anche quello che dobbiamo sempre ricercare nello svolgimento della nostra pratica apistica, perché ancora una volta le api ci insegnano che il nostro “benessere” non può prescindere dal loro “benessere”.

Maurizio Ghezzi



                                


 

martedì 5 dicembre 2023

IN APIARIO A DICEMBRE

In un avvolgente scorcio di una tiepida giornata di fine novembre, seduto sulla riva della spiaggetta di San Michele di Pagana, accogliente località del levante ligure, osservo le onde frangersi orgogliosamente sulla battigia per poi dissolversi, con fare furtivo, su un complice bagnasciuga. Assorto in questo dirompente turbinio di movimento d’acqua scorgo in lontananza un mercantile che con il suo lento incedere sembra quasi voler tratteggiare la sottile linea di confine di un orizzonte lontano dove l’azzurro del mare trafigge indisturbato il blu del cielo. Penso all’equipaggio che dopo giorni e giorni di impetuoso navigare finalmente riscopre la gioia di avvistare la terra mentre, dalla prua del cargo, già si riesce a riconoscere, là oltre l’ultimo promontorio, Genova con il suo così tanto atteso porto d’attracco che finalmente ha dato segno di sé. Mi sto già immaginando il nostromo che, dalla più alta postazione della nave, avvisa l’equipaggio al grido di: “terra, terra” quando, improvvisamente, questo mio dolce fantasticare viene interrotto dal ronzio di un’ape che con saggia disinvoltura, sfrecciandomi intorno, si va a posare proprio là, dove qualche schizzo d’acqua marina è riuscito a inumidire il suolo, per poter suggere quella preziosa linfa ricca di sali minerali e così tanto utile al benessere dell’alveare. Ritorno, allora, giudiziosamente al presente ricordandomi che fra non molto sarà dicembre con un nuovo freddo e lungo inverno, pronto a far capolino sui nostri alveari, costringendo le laboriose “apette” a stringersi serrate in un tiepido glomere che consentirà loro di affrontare, in un dolce navigare, forti venti di tempesta e gelide nevicate per riuscire a traghettare la famiglia alla nuova primavera che, si spera, non tarderà ad arrivare.

Dicembre: un sospirato periodo di dolce far niente per le nostre colonie e di vigile riposo per noi apicoltori. Impieghiamo il molto tempo libero di cui possiamo godere in questo momento della stagione per seguire le riunioni organizzate dalle associazioni apistiche a cui siamo iscritti, partecipiamo a incontri con chi svolge la nostra professione saranno la giusta occasione per stringere nuove amicizie e per un salutare e sano confronto che altro non potrà fare se non che accrescere le nostre conoscenze. Non dimentichiamo nell’immancabile letterina di rito, da inviare a Babbo Natale, di richiedere in dono libri e riviste di apicoltura perché la nostra mente ha sempre fame di nuove notizie, novità che aiuteranno a coltivare il nostro sapere per cercare così di riuscire a sfatare quel vecchio e indecoroso detto secondo il quale la conoscenza non è mai abbastanza mentre l’ignoranza è sempre troppa! A questo proposito, pro domo mia, vi ricordo "Un apicoltore in Vespa" una piacevole lettura e/o un simpatico regalo per Natale da fare ad amici. 
Dedichiamoci a lavori di magazzino riparando vecchie arnie che potrebbero trovare nuovi inquilini nella stagione a venire, armiamo qualche telaino perché potrebbe esserci d’aiuto all’occorrenza quando sarà giunto il momento di formare nuovi nuclei, rimuoviamo dai telai da nido vecchi favi ormai inutilizzabili e sostituiamoli con fogli cerei, per chi amasse il bricolage questo è anche il momento migliore per dedicarsi alla costruzione di nuove arnie utilizzando legname di buona qualità. In apiario studiamo eventuali luoghi nei quali poter semmai sistemare altri alveari o mettere a dimora piante e arbusti nettariferi per non dover essere costretti a prendere decisioni avventate nella prossima primavera.
Passiamo di tanto in tanto fra le casette della nostra postazione e osserviamole con attenzione perché, anche in assenza di attività, grazie a quell’indissolubile e consolidato pizzico di empatia fra noi e le nostre meravigliose operaie, saremo in grado di saper cogliere il profondo respiro dell’alveare. Non scordiamoci mai di coibentare (meglio farlo prima dell’arrivo del freddo) l’interno del coprifavo con lana di roccia, polietilene, cartone e/o tessuto non tessuto e soprattutto ricordiamoci di lasciare sempre a disposizione delle nostre compagne un panetto di ottimo candito, meglio se addizionato con polifenoli e/o vitamine, sapranno gustarlo in caso di necessità oppure diventerà un ottimo jolly sul finire di febbraio, quando le prime tiepide giornate segneranno la ripresa delle attività. Lasciamo tranquille le api che, assopite nel dolce tepore di un tiepido glomere, si sono attrezzate per superare il lungo periodo invernale; non disturbiamole, non creiamo frastuoni molesti attorno ai loro nidi perché qualsiasi rumore che dovesse disturbare la loro quiete le indurrà a un maggior consumo di cibo cosa, quest’ultima, sicuramente poco auspicabile. Così, come un ammiraglio di lungo corso, osservo in religioso silenzio la flotta dei miei amati alveari navigare impetuosa attraverso una nuova, lunga e fredda stagione con nel cuore la speranza che, avendo seguito la giusta rotta, l’intero equipaggio, all’arrivo della prossima primavera, come un porto sicuro anch’esso riuscirà a dare segno di sé. Auguro a tutti voi un felice Natale con l’auspicio che il nuovo anno sia all’insegna della pace e che si lasci alle spalle una guerra ingiusta che finora ha causato solo vittime disarmate e innocenti, vittime a cui questa guerra non appartiene e che sicuramente non l’avrebbero mai voluta!

Ricordo che sono aperte le iscrizioni al Corso Base di Apicoltura che si terrà a Febbraio 2024 presso la biblioteca comunale di Costa Masnaga. L'iscrizione al corso è assolutamente gratuita ma i posti sono limitati, quindi consiglio a chi abitasse in zona e fosse interessato a partecipare di iscriversi fin da ora telefonando allo 031856731 oppure inviando una mail a biblioteca@comune.costamasnaga.lc.it 





















 

giovedì 30 novembre 2023

LIBRI DI APICOLTURA

 


La scelta di Maurizio Ghezzi, da medico ad apicoltore: "La mia vita fra alveari e miele"

Chirurgo in pensione, ora produce il dorato alimento. "È strano a dirsi ma in città le api fanno più miele che in campagna, grazie alla presenza di verde pubblico e all’assenza di diserbanti"


Milano - Ha scovato "un’utopia realizzata" osservando da vicino la vita degli alveari. "Le api perseguono sempre quel bene comune che è la famiglia, nella loro società non esiste traccia di egoismo", sorride Maurizio Ghezzi, nato a Milano 64 anni fa. La sua passione per l’apicoltura è un amore maturo.

Ghezzi ha cominciato a dedicarsi alle arnie quindici anni fa, nei ritagli di tempo dal suo lavoro di medico ospedaliero nel reparto di Chirurgia plastica della mano al Centro Traumatologico Ortopedico di Milano, dove ha prestato servizio dal 1983. Dal 2020, con la pensione, produce miele a tempo pieno per diletto: "Fra me, mia moglie e due figlie facciamo fuori un chilo di miele a settimana. Molti vasetti li regalo a parenti ed amici, li vendo solo su richiesta…". Nel frattempo ha scritto un libro:  "Un apicoltore in Vespa"  (edizioni Apinsieme), e da gennaio terrà un corso base di apicoltura (iscrizione gratuita) alla biblioteca di Costa Masnaga, provincia di Lecco.

Come è nata la passione per gli alveari?

"Di api ne ho sempre sentito parlare bene dall’infanzia: mio padre ne elogiava l’operosità e considerava il miele con una medicina. Ho fatto il primo corso di apicoltura 15 anni fa; poi ho avuto la fortuna di conoscere Elio Bonfanti, uno dei più grandi apicoltori italiani, che mi ha insegnato molti “trucchetti’’. Ho iniziato con due famiglie – dalle 140 mila alle 180 mila esemplari – a Civenna, una frazione di Bellagio, a 700 metri sul mare: nel primo anno sono arrivati 120 chili di miele. Quest’anno con cinque alveari la produzione è stata di oltre 300 chili. Perlopiù di tiglio, castagno, millefiori e, nel giardino di casa a Sesto San Giovanni, anche di edera e ciliegio. Le api di città producono più miele di quelle di campagna: l’habitat urbano è divenuto, grazie all’abbondanza di verde e all’assenza di diserbanti, un ambiente ideale per questo imenottero".

A parte raccogliere il miele cosa fa un apicoltore?

"Il periodo più duro è a fine marzo/inizio aprile quando bisogna contrastare la sciamatura, ossia la partenza definitiva da una colonia di una “vecchia’’ regina seguita da una parte delle operaie quando nasce una regina “vergine’’. È un fenomeno naturale, il modo in cui il “superorganismo’’ alveare si riproduce creando una nuova famiglia. Per impedirlo l’apicoltore crea una sciamatura artificiale, spostando la vecchia regina in un alveare vicino che produrrà miele più tardi. Le api bottinatrici, quelle che vanno in giro a raccogliere nettare che diverrà miele, tornano comunque nella vecchia casetta. Le api depositano il miele nel melario, una parte dell’arnia dove è impedito l’ingresso alla regina da una griglia: se arrivasse fin qui il miele si riempirebbe di uova e pupe. Un apicoltore “etico’’ raccoglie miele fino a luglio: dopo bisogna lasciarlo alle api perché sopravvivano all’inverno".

Un episodio della vita delle api poco noto?

"Dopo la sciamatura la vecchia regina con le sue operaie fedeli si va a sistemare in un ramo vicino formando una “palla’’ chiamata glomere da cui partono le api ’’esploratrici’’ per cercare un nido. Quando le api esploratrici tornano comunicano dove si trova alle altre attraverso movimenti di danza: alla fine la scelta per il nuovo alveare viene presa assieme, attraverso una forma di democrazia partecipata che noi uomini ci sogniamo".

ANNAMARIA LAZZARI




IMENOTTERI APOIDEI

 

Apis mellifera (portatrice di miele)
Il genere Apis include nove specie eusociali: otto di origine asiatica e di limitata diffusione, mentre la nona (A. mellifera) è ritenuta originaria delle regioni tropicali e subtropicali dell’Africa dalle quali si è naturalmente diffusa in tutto il continente africano, in Europa e nell’Asia meridionale. Le crescenti distanze fra le popolazioni e le barriere geografiche naturali, hanno determinato il frazionamento del pool genetico della specie che ha, nel tempo, formato circa 30 sottospecie o razze geografiche delle quali, almeno la metà sono diffuse nel Bacino mediterraneo.



Melittidae
È una famiglia di api solitarie, univoltine, ovvero hanno un'unica generazione in un anno, e generalmente sono oligolettiche ossia appartengono a un genere che si approvvigiona di polline solo su di un limitato numero di specie floreali, esse sono presenti nelle zone temperate dell’Europa, del Nord America e dell’Africa meridionale. Gli individui adulti hanno il corpo di colore nero e lungo circa 15 mm.

Andrenidae
Sono api di dimensioni medie, poco pelose con colorazione uniformemente scura, quasi del tutto nera. Presentano un capo molto largo. Nidificano nel terreno e solitamente sono gregarie. Rivestono le pareti delle celle all'interno del loro nido con una sostanza cerosa. Volano prevalentemente su asteracee di colore giallo.




Melecta
Gli adulti hanno il corpo robusto, di grandi dimensioni (10-15 mm), di colore grigio e nero, con peli bianchi ai lati dell’addome e sulle zampe, che nelle forme melaniche sono scuri. Entrambi i sessi, che macroscopicamente sono difficilmente distinguibili, sono privi di strutture per la raccolta del polline; volano lentamente e visitano i fiori di molte piante. Tutte specie che sono cleptoparassite, ossia hanno tendenza a rubare il cibo che altre specie simili si sono procurate per loro, di api del genere Anthophora o Habropoda. Le femmine dopo aver individuato in volo i siti di nidificazione degli ospiti, entrano nei nidi e ovidepongono nelle celle già opercolate; le larve completano lo sviluppo a spese di quelle dell’ospite e delle scorte di cibo.

Melipona 
hanno ovopositore di ridotte dimensioni e non adatto a pungere, pertanto sono erroneamente note come api senza pungiglione; esse difendono il nido mordendo con le mandibole gli aggressori. Sono attive produttrici di miele. Le api del genere melipona sono presenti nella maggior parte delle regioni tropicali e subtropicali del mondo, dove alcune specie vengono allevate per la produzione di miele e di propoli rossa. In condizioni naturali nidificano nei tronchi cavi, nei rami degli alberi, nelle cavità sotterranee, nelle fessure delle rocce, nelle cavità dei muri, e persino nei bidoni della spazzatura, nei contatori dell'acqua e nei fusti di stoccaggio.

Melissodes
È presente in Nord e Centro America dove, anche per la sua capacità di resistere a differenti condizioni climatiche, è fra i più attivi pronubi di numerose piante. Nella zona ventrale dell’addome le femmine presentano una folta scopa pelosa con la quale raccolgono e immagazzinano il polline che trasportano nel nido sotterraneo, da esse scavato con le mandibole e le zampe anteriori. Nel nido individuale immagazzinano le scorte e creano le condizioni ambientali ottimali per lo sviluppo della larva.


Melitoma
Le circa 13 specie che vi afferiscono sono presenti nel Neartico (corrisponde in buona parte all'america settentrionale) e nel Neotropico (una delle 7 zone in cui è divisa la superficie terrestre). Note come “api ciminiere” hanno il corpo robusto, ricco di peli con ligula lunga. Negli Stati Uniti sono considerate impollinatrici specializzate dei fiori delle Convolvulaceae (famiglia di piante dicotiledoni che raggruppa 60 generi e circa 1300 specie), soprattutto del genere Ipomoea (genere delle convlvulaceae che comprende almeno 500 specie note con il nome di campanelle). Nidificano nei nidi abbandonati dalle termiti, nelle aree urbanizzate colonizzano le crepe dei muri e persino le grondaie 











CONTRASTO ALLA VARROA CON LA MESSA A SCIAME

Subito dopo la rimozione dei melari, entro la prima decade di luglio, si prelevano dalla famiglia da mettere a sciame tutti i favi contenent...