La scelta di Maurizio Ghezzi, da medico ad apicoltore: "La mia vita fra alveari e miele"
Chirurgo in pensione, ora produce il dorato alimento. "È strano a dirsi ma in città le api fanno più miele che in campagna, grazie alla presenza di verde pubblico e all’assenza di diserbanti"
Milano - Ha scovato "un’utopia realizzata" osservando da vicino la vita degli alveari. "Le api perseguono sempre quel bene comune che è la famiglia, nella loro società non esiste traccia di egoismo", sorride Maurizio Ghezzi, nato a Milano 64 anni fa. La sua passione per l’apicoltura è un amore maturo.
Ghezzi ha cominciato a dedicarsi alle arnie quindici anni fa, nei ritagli di tempo dal suo lavoro di medico ospedaliero nel reparto di Chirurgia plastica della mano al Centro Traumatologico Ortopedico di Milano, dove ha prestato servizio dal 1983. Dal 2020, con la pensione, produce miele a tempo pieno per diletto: "Fra me, mia moglie e due figlie facciamo fuori un chilo di miele a settimana. Molti vasetti li regalo a parenti ed amici, li vendo solo su richiesta…". Nel frattempo ha scritto un libro: "Un apicoltore in Vespa" (edizioni Apinsieme), e da gennaio terrà un corso base di apicoltura (iscrizione gratuita) alla biblioteca di Costa Masnaga, provincia di Lecco.
Come è nata la passione per gli alveari?
"Di api ne ho sempre sentito parlare bene dall’infanzia: mio padre ne elogiava l’operosità e considerava il miele con una medicina. Ho fatto il primo corso di apicoltura 15 anni fa; poi ho avuto la fortuna di conoscere Elio Bonfanti, uno dei più grandi apicoltori italiani, che mi ha insegnato molti “trucchetti’’. Ho iniziato con due famiglie – dalle 140 mila alle 180 mila esemplari – a Civenna, una frazione di Bellagio, a 700 metri sul mare: nel primo anno sono arrivati 120 chili di miele. Quest’anno con cinque alveari la produzione è stata di oltre 300 chili. Perlopiù di tiglio, castagno, millefiori e, nel giardino di casa a Sesto San Giovanni, anche di edera e ciliegio. Le api di città producono più miele di quelle di campagna: l’habitat urbano è divenuto, grazie all’abbondanza di verde e all’assenza di diserbanti, un ambiente ideale per questo imenottero".
A parte raccogliere il miele cosa fa un apicoltore?
"Il periodo più duro è a fine marzo/inizio aprile quando bisogna contrastare la sciamatura, ossia la partenza definitiva da una colonia di una “vecchia’’ regina seguita da una parte delle operaie quando nasce una regina “vergine’’. È un fenomeno naturale, il modo in cui il “superorganismo’’ alveare si riproduce creando una nuova famiglia. Per impedirlo l’apicoltore crea una sciamatura artificiale, spostando la vecchia regina in un alveare vicino che produrrà miele più tardi. Le api bottinatrici, quelle che vanno in giro a raccogliere nettare che diverrà miele, tornano comunque nella vecchia casetta. Le api depositano il miele nel melario, una parte dell’arnia dove è impedito l’ingresso alla regina da una griglia: se arrivasse fin qui il miele si riempirebbe di uova e pupe. Un apicoltore “etico’’ raccoglie miele fino a luglio: dopo bisogna lasciarlo alle api perché sopravvivano all’inverno".
Un episodio della vita delle api poco noto?
"Dopo la sciamatura la vecchia regina con le sue operaie fedeli si va a sistemare in un ramo vicino formando una “palla’’ chiamata glomere da cui partono le api ’’esploratrici’’ per cercare un nido. Quando le api esploratrici tornano comunicano dove si trova alle altre attraverso movimenti di danza: alla fine la scelta per il nuovo alveare viene presa assieme, attraverso una forma di democrazia partecipata che noi uomini ci sogniamo".
ANNAMARIA LAZZARI
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