martedì 2 aprile 2024

LAVORI IN APIARIO AD APRILE

 

Con l’arrivo del mese di aprile per noi apicoltori termina definitivamente il periodo dell’osservazione ed inizia, a spron battuto, il momento dell’azione. Aprile segna il vero debutto della stagione apistica e rappresenta allo stesso tempo il periodo chiave della stessa poiché il nostro comportamento in questa fase sarà in grado di influenzare nel bene e/o nel male tutto il proseguo della stagione.

Le api che hanno guidato la transizione invernale sono ormai state completamente rimpiazzate dalle giovani operaie che garantiranno la forza lavoro al momento delle prime grandi e importanti fioriture mellifere. Le nostre visite in apiario dovranno avere come scopo principale quello di identificare le famiglie più forti: se per l’invernamento avessimo ristretto, il nido è questo il momento propizio per iniziare a ridargli spazio aggiungendo uno o due telaini con foglio cereo così che le giovani operaie possano dar lavoro alle loro ghiandole ceripare desiderose, come non mai, in questo periodo della stagione di dar sfogo alla loro attività.

Allo stesso tempo questa nuova cera fresca e vergine costituirà un rifugio ideale nel quale potranno crescere le giovani larve. Inoltre, più daremo lavoro alle giovani ceraiole più loro, rimanendo occupate, rimanderanno l’entrata della famiglia in febbre sciamatoria. Quando lo sviluppo del nido sarà stato completato e tutti i favi saranno presidiati, senza dubbio, è giunto il momento di aggiungere il primo melario. La scelta di questo momento va però ponderata con molta saggezza e sarà solo la nostra esperienza a guidare il nostro istinto affinché questa operazione sia fatta nel periodo propizio. La posa del melario, infatti, se eseguita in prossimità di un possibile ritorno di freddo potrebbe determinare un raffreddamento della covata con successivo rallentamento dello sviluppo della colonia nonché il rischio di comprometterne la sua stabilità. Un piccolo trucco per ovviare a questo possibile e temibile inconveniente consiste nel frapporre un foglio di giornale fra il nido e il melario così che saranno le stesse api a stabilire quando è il momento ideale per salire a melario facendosi strada attraverso l’eliminazione del foglio di giornale.

Aprile è anche il momento in cui le nostre api si preparano per dare avvio alle sciamature e quindi, uno dei nostri compiti principali sarà proprio, in questo periodo, quello di mettere in pratica tutte le manovre di contrasto per impedire che ciò avvenga. Se si susseguono due o più giorni di pioggia spesso alla ricomparsa del sole sarà possibile vedere lo sciame levarsi in volo se, in precedenza, non avevamo messo in atto tutte le misure idonee a scongiurare questa eventualità. Se per un qualsiasi motivo non disponessimo del tempo necessario per riuscire a sorvegliare correttamente i nostri alveari al fine di mettere in pratica tutte quelle tecniche di cui siamo in possesso utili per contenere la sciamatura, allora potremmo posizionare arnie esca che attireranno al loro interno non solo i nostri sciami ma con buona probabilità anche sciami provenienti da altri apiari. Per rendere più attraenti le nostre arnie esca non esitiamo a mettere al loro interno della propoli, della cera fusa alla fiamma e dei pezzi di vecchi favi che hanno contenuto in passato della covata.

Se non l’avessimo ancora fatto provvediamo con solerzia a riaprire a pieno volume le porticine di volo che avevamo ristretto il precedente autunno così che le bottinatrici possano entrare e uscire senza alcun ostacolo. Teniamo pulito il terreno sottostante agli alveari per impedire che le sterpaglie in crescita possano costituire un fastidioso ingombro e diminuire l’aereazione nel nido creando umidità, acerrima nemica di un ambiente salubre all’interno dell’alveare. Nel caso in cui avessimo l’apiario in prossimità di campi di colza non dimentichiamoci di raccogliere il miele alla fine della fioritura per non correre il rischio di ritrovarcelo cristallizzato all’interno dei favi.

Con il meteo dalla nostra parte, con alle spalle un buon lavoro e con il prezioso aiuto delle nostre operaie volanti possiamo finalmente sperare che alle nostre porte bussi la stagione del grande riscatto.



 

martedì 5 marzo 2024

APITERAPIA

In questo libro l’autore, medico per vocazione e apicoltore per passione, vuole condurvi alla ricerca dei benefici comprovati che generano i prodotti dell’alveare i quali rivestono un ruolo importante nell’ambito della medicina naturale e della nostra vita quotidiana. Il manoscritto ci indirizza verso una corretta conoscenza di tali sostanze aiutandoci a distinguere il vero dal falso così da poter utilizzare, in consapevole sicurezza, questi elementi capaci di influire positivamente su tutti i campi del benessere: forma, salute fisica, sanità mentale e bellezza.

Miele, polline, pane d’api, gelatina reale, propoli e cera, splendide essenze prodotte dall’instancabile lavoro delle api, sono in grado di sedurci per le loro qualità dietetiche, gustative e medicinali e si trovano in commercio, ormai, ovunque. Il loro impiego empirico, che risale a molti secoli fa, è da ricondurre alla loro composizione ricca in elementi antimicrobici e antiossidanti.
 Grazie al progresso della chimica e della farmacologia oggi siamo in grado di conoscere con maggior certezza queste utili sostanze e comprendere le modalità attraverso le quali esse agiscono determinando sicuri vantaggi per la nostra salute. Alcuni dei loro benefici sono accertati e si sono dimostrati particolarmente utili per la cura e la prevenzione di diverse malattie, più spesso benigne, altri sono ancora in fase di studio e in attesa di certificazione.

È questo, per esempio, il caso del veleno d’api che grazie alle molecole chimiche da cui è composto ha aperto delle prospettive inaspettate e molto interessanti per la cura delle malattie reumatiche e neurologiche anche gravi. L’apiterapia (scienza della cura attraverso l’utilizzo dei prodotti dell’alveare) è attualmente oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche, ma allo stesso tempo anche di innumerevoli comunicazioni poco controllate che potrebbero causare l’insorgenza di speranze disattese a carico di tutti quei malati affetti da serie patologie cronico-evolutive. Questo è il motivo per il quale il libro si propone di portare il lettore a una conoscenza ragionata e ragionevole di questa branca della medicina alternativa, stimolandolo, nel frattempo, a portare sulla propria tavola i meravigliosi prodotti dell’alveare perché, comunque, un loro uso regolare e corretto integra e armonizza la nostra dieta regalandoci un prezioso stato fisico e mentale capace di garantire quel giusto grado di benessere necessario a una sana ed equilibrata omeostasi corporea.

 


 

lunedì 4 marzo 2024

LAVORI IN APIARIO NEL MESE DI MARZO

L’arrivo di marzo segna la fine del lungo inverno e per l’apicoltore è giunto il momento di valutare con esattezza le condizioni delle famiglie ospitate in apiario. È quindi giunto, finalmente, il momento della tanto attesa prima visita di primavera. Prima di effettuarla sinceriamoci che vi sia una temperatura gradevole, non inferiore ai 16°C. e che non si sia in presenza di una giornata ventosa. È ormai da diverso tempo che il nostro affumicatore è a riposo, diamogli una rapida ripulita e apprestiamoci a rimetterlo in funzione, rifornendolo, possibilmente, con erbe aromatiche secche, come per esempio, della lavanda, del timo, della ruta e/o altro ancora materiale che avremmo dovuto diligentemente preparare lo scorso agosto.

Quando finalmente tutto è pronto e possiamo iniziare in sicurezza la nostra ispezione rimuoviamo velocemente il copri favo e iniziamo a valutare lo stato della covata, cercando di tenere aperto l’alveare per il minor tempo possibile. Se siamo in presenza di una bella covata compatta è segno che tutto, in quell’alveare, sta procedendo nel migliore dei modi e ottimisticamente avremo il diritto di pensare che quella famiglia nel proseguo della stagione sarà in grado di regalarci un buon raccolto.


. Contestualmente assicuriamoci che vi siano scorte alimentari sufficienti per il sostentamento della colonia e della covata, in caso contrario, non esitiamo ad aggiungere un panetto di candito, esso risulterà fondamentale soprattutto nel caso di ritorno di giornate fredde e piovose. Se, invece, ci dovessimo trovare in presenza di una covata disomogenea disseminata disordinatamente lungo il favo dovremmo pensare alla presenza, in quella famiglia, di una regina non più giovane. Queta colonia avrà sicuramente problemi a svilupparsi correttamente nel corso della stagione e non ci consentirà di ottenere un discreto raccolto. In una situazione come questa il consiglio è quello di eliminare la vecchia regina e sostituirla con una giovane non appena le condizioni lo consentiranno.

Quando, invece, l’ispezione, sfortunatamente, ci farà rilevare la presenza di assenza di covata dovremo sicuramente pensare di trovarci di fronte a una famiglia orfana. La cosa più semplice che ci rimane da fare in presenza di questa situazione è quella di affumicare abbondantemente l’alveare così che le api in esso contenute si riempiano di miele, quindi, spazzolare tutte le api dai favi e rimuovere l’alveare. Le api, dopo un breve volo, faranno ritorno al loro nido ma non troveranno più la loro casa così un po' per volta cercheranno di entrare negli alveari adiacenti, dove saranno le ben accette visto che non si presenteranno a “mani vuote”.

Alla fine di queste prime visite di primavera che avremo sicuramente svolto nel modo più veloce possibile, noi dovremo certamente essere in grado di conoscere tutto il potenziale di ciascuna delle nostre famiglie presenti in apiario.

Un altro compito che ci aspetta in questo periodo della stagione è quello di provvedere alla pulizia dei fondi delle nostre arnie. La cosa migliore sarebbe, nel caso in cui essi siano fondi rimovibili com’è auspicabile che sia, avere un fondo già pulito con il quale andremo a rimpiazzare quello di un primo alveare, quindi, pulire quello appena rimosso e sostituirlo a quello del secondo alveare procedendo con ordine fino al termine dell’operazione. Questa manovra si rende necessaria poiché dopo un anno di lavoro i fondi si presentano terribilmente sporchi con presenza di residui di cera, impurità di diverso genere, cadaveri d’api, granelli di polline tutte sostanze che accumunate fra loro formano una sorta di terreno di coltura umido nel quale virus, batteri e funghi trovano le condizioni ideali per potersi sviluppare. Qualora, invece, dovessimo avere delle arnie con plancia fissa bisognerà, per eseguire tale lavoro, trasportare, con tutti i telai, la famiglia in una nuova arnia, oppure, in una vecchia a patto di averla prima accuratamente disinfettata con la fiamma.

A marzo la colonia è in piena espansione e per sostenere il frenetico ritmo di questo accentuato sviluppo le api hanno bisogno anche di acqua, se non abbiamo predisposto un abbeveratoio in prossimità dell’apiario apprestiamoci a farlo, non lasciamo che le nostre api debbano percorrere lunghi tragitti unicamente per andare a far provviste di acqua. Un vecchio catino riempito con acqua e nel quale avremo messo cottili fogli di polistirolo a galleggiare in superficie andrà più che bene per assolvere a questa funzione.

Se nell’alveare trovassimo uno o due favi vuoti con vecchia cera non esitiamo a sostituirli con dei nuovi telai con foglio cereo da sistemare ai lati del nido, la cera vetusta è spesso un ricettacolo di germi.

Concluderei, nel salutarvi, ricordandovi l’appuntamento più festoso e affascinante che marzo riserva a noi apicoltori, ovvero, la fiera di Apimel, a Piacenza, un grande momento di gioia, uno splendido luogo d’incontro, di festa, di confronto per noi apicoltori, ma soprattutto l’annuncio che una nuova stagione apistica sta per cominciare; prego signori: salite in carrozza, si parte per una nuova ed entusiasmante avventura!

 





 

giovedì 22 febbraio 2024

NUOVA CARTELLONISTICA

L'Anagrafe apistica nazionale ha iniziato a generare i nuovi cartelli a norma del decreto legislativo n. 134 del 5 agosto 2022 sul sistema I&R nazionale che stabilisce le nuove norme per l'identificazione degli operatori, degli stabilimenti e degli animali zootecnici.

 

Il decreto risale al maggio del 2023 ed era stato pubblicato dal ministero della Salute assieme al manuale operativo che indicava come applicare nel dettaglio le nuove norme.

 

Il manuale, fra l'altro, riportava anche le indicazioni sulle carateristiche che doveva presentare la nuova cartellonistica indispensabile per l'identificazione degli apiario. Essa deve essere costituita:

  • da materiale resistente agli agenti atmosferici e non deteriorabile nel tempo;
  • deve possedere dimensioni minime equivalenti al formato A4;
  • deve essere stampata su supporto di colore bianco riportante in caratteri di colore nero indelebile e di altezza di almeno quattro centimetri "SISTEMA I&R NAZIONALE – DECRETO LEGISLATIVO 5 AGOSTO 2022, n. 134", oltre al codice aziendale ed al numero progressivo dell’apiario
  • Secondo il manuale operativo il nuovo cartello è obbligatorio per gli apiari registrati dopo l’entrata in vigore del presente manuale stesso, cioè dopo il 16 maggio 2023. Il cartello stampato secondo le nuove indicazioni lo si può richiedere all'associazione o al professionista che è stato delegato per la gestione dell'anagrafe apistica, o lo si può scaricare autonomamente accedendo al proprio account della BDN. Per eseguire in autonomia la procedura basta:
  • andare sulla pagina web www.vetinfo.it;
  • accedere all'area riservata;
  • cliccare su apicoltura e accedere come proprietario;
  • andare su reportistica;
  • scegliere cartello identificativo dal menù a tendina;
  • cliccare sul pulsante stampa cartello;

Fatto questo il sito genererà il cartello in pdf in formato A4, che dovrà essere stampato su un materiale non deperibile, o stampato su carta e plastificato e poi messo in apiario.

 

cartelli "fai da te" anche se riportano tutte le informazioni richieste e corrette, non sono in regola e possono far incorrere in sanzioni.



venerdì 2 febbraio 2024

LAVOR IN APIARIO A FEBBRAIO

È ormai da diverso tempo che sentiamo raccontare dai media, dal web e persino da alcune riviste di settore delle storie che hanno dell’inverosimile ma alle quali ci stiamo, purtroppo, pian piano abituando, correndo altresì, l’inconsapevole rischio di venirne alla fine assuefatti. Storie che sono una via di mezzo fra una fiaba, ossia un racconto che rimanda alle tradizioni popolari,  in cui la presenza del magico e del fantastico rappresentano l’elemento in grado di colpire e di stupirci, e una favola ovvero un genere letterario dalla cui narrazione si estrae l’essenza di una morale più o meno profonda. In tutte queste storie che, per le caratteristiche di cui sopra, non esiterei a chiamare “fiavole” l’elemento a sorpresa magico e in grado di stupire è comunque e sempre rappresentato dal “Covid”. Ed è proprio leggendo una rivista di settore che mi sono imbattuto in una di queste “fiavole” la quale racconta di come le api possano essere utilizzate per monitorare la diffusione del virus Sars Cov-2 nell’ambiente. Gli “scienziati sperimentatori” hanno posizionato dei comuni tamponi all’ingresso degli alveari e una volta che le bottinatrici vi sono passate sopra, facendo ritorno al nido dopo la raccolta di nettare e polline dai campi, i tamponi sono stati prelevati e analizzati. Ebbene signori, non ci crederete ma le analisi eseguite su quei tamponi hanno dimostrato in essi la presenza del virus del covid lasciato sopra di questi dal passaggio delle api, virus che però stranamente non è stato rilevato all’interno dell’alveare! Così vi dirò che l’elemento magico e fantastico di questa “fiavola” è, senza ombra di dubbio, il virus Sars Cov-2 divenuto ormai una star presente in quasi tutte le narrazioni contemporanee, mentre la morale ve la spiegherò in queste poche righe seguenti. Da medico quale sono credo fermamente che il virus del covid (come qualsiasi altro virus) non sia in grado di vivere, per più di pochi secondi, disperso nell’ambiente esterno ma che possa sopravvivere solo all’interno del suo ospite, in questo caso l’uomo, il quale, più o meno consapevolmente, diventa il vettore della sua diffusione infettando altre persone, che si trovano in sua vicinanza, attraverso le proprie secrezioni disperse nell’aria con colpi di tosse e/o starnuti. Quindi come sia stato possibile trovare il covid sui tamponi posizionati all’ingresso dell’alveare rimane, a mio modestissimo parere, un mistero un po' difficile da svelare; forse  la sua presenza potrebbe esser dovuta ad un apicoltore infetto, un po' distratto, che non rispettando la quarantena si è recato in apiario e ha tossito proprio sulle porticine di volo dove erano stati posizionati i tamponi, oppure questa strana positività potrebbe esser dovuta alle api, le quali rientravano al nido dopo aver svolto un’attività di bottinatura, anziché sui campi fioriti, all’interno di un reparto covid di un nosocomio in prossimità dell’apiario. Inoltre, non mi avventuro volutamente nel discorso relativo ai falsi positivi per non rischiare di dovermi imbattere in un trattato di microbiologia. La morale di questa “fiavola” è quindi, a mio avviso, rappresentata dal fatto che non si possono cambiare 300 anni di scienza e di storia della medicina per un virus che in due anni (2020/2021) ha provocato meno della metà delle vittime rispetto a quelle causate dall’influenza (da noi considerata ingiustamente un’infezione banale) del 2018 (dati OMS), così come tanti anni di storia della medicina e di scienza medica non sono stati cambiati a seguito della comparsa di agenti patogeni che hanno determinato ben più gravi e importanti pandemie quali per esempio la peste, la spagnola, l’ebola, l’aviaria e tante altre ancora!

A questo punto, un po' per presunzione un po' per invidia anch’io vorrei raccontarvi una mia “fiavola”, la quale comincia nel più classico dei modi: “c’era una volta”! C’era una volta un bel girasole che dall’alto della sua magnificenza attirò sulla sua risplendente inflorescenza un’ape, un bombo e una farfalla. I tre si posarono sui petali dei fiori del disco del girasole ed iniziarono a suggere dell’ottimo nettare. La farfalla che suggeva a intermittenza fra un goccio di nettare e un battito d’ali, rivolgendosi agli altri due, esclamò con piena soddisfazione: “Questo nettare è veramente molto buono”! Il bombo guardandosi attorno con circospezione per assicurarsi che nessuno potesse rubargli la postazione annuì: ”Hai ragione farfalla, di questi tempi trovare un nettare di qualità è veramente cosa rara”. Mentre i due continuavano a parlottare, l’ape imperterrita non smetteva di suggere il nettare: la sua sacca melaria non era ancora stata riempita a dovere. A quel punto il bombo un po' indispettito esclamò: ”E tu ape, non hai niente da dire”? L’ape estrasse finalmente la sua ligula dalla ghiandola nettarina in cui l’aveva affondata e rispose: ”Avete ragione entrambi, con questo nettare produrrò del miele meraviglioso!” Proprio in quel preciso istante il girasole un po' stizzito, sentendosi come un fiore oggetto, enfatizzò: “Ehi voi tre! Non vi siete accorti che qui attorno è tutto bio? Il mio contadino non concia il mio seme con diserbanti e pesticidi e fra una coltura e l’altra intervalla delle strisce fiorite con della splendida facelia e altre ancora con dell’accattivante lupinella. Qui voi siete nel cuore di una grande azienda agricola votata al biologico!” I tre un po' increduli, un po' stupiti come se non avessero inteso di cosa si stesse parlando ringraziarono e salutarono il girasole e, volandosene via, ciascuno fece ritorno al proprio nido. Così come ogni storia che si rispetti anche questa, come tutte le altre, si conclude con il classico finale:” e vissero tutti felici e contenti”.

Lo so avete ragione, mi sono dilungato oltre il dovuto e febbraio è ormai alle porte per cui vedrò di dedicarmi ad elencare i compiti che questo mese riserva a noi apicoltori. Febbraio è il mese più corto, ma spesso potrebbe anche e ancora essere foriero di giornate di freddo molto intenso. La neve caduta nel mese di gennaio nasconde gli alveari al di sotto di uno spesso mantello bianco e le temperature ancora fredde costringono le api ad un maggior consumo di cibo indispensabile per il mantenimento della corretta omeostasi termica all’interno del proprio nido. Queste condizioni climatiche ci costringono ad un continuo controllo delle scorte “alimentari” presenti negli alveari e nel caso ne trovassimo alcuni con un peso “sospetto” sarà cosa saggia fornire a quelle famiglie del supporto con ottimo candito. Dopo la prima metà del mese le giornate iniziano ad allungarsi ed il maggior periodo d’insolazione riscalda l’ambiente così che intorno agli alveari potremo osservare i primi timidi movimenti delle famiglie al loro risveglio primaverile. Verso il finire di febbraio gli iniziali tepori delle giornate ben soleggiate ci permetteranno, solo qual ora ne esista la necessità e in presenza di un valido motivo, di eseguire rapide ispezioni facendo molta attenzione a tenere aperto il nido per il minor tempo possibile. È questo anche il momento in cui ben presto nasceranno le api della nuova generazione che andranno a sostituire le vecchie operaie ormai “usurate” dalla grande fatica compiuta per traghettare la colonia dall’inverno alla nuova primavera. Un altro compito che ci riserva questo periodo della stagione è quello di eseguire una corretta pulizia intorno all’apiario, soprattutto lungo il passaggio che dovremo utilizzare per muoverci nella postazione. In questo momento dell’anno è consigliabile, inoltre, preparare i supporti per le nuove arnie che abbiamo intenzione di aggiungere alle esistenti. Lasciare crescere delle erbe ad alto fusto a protezione delle porticine di volo degli alveari potrebbe, invece, essere un valido stratagemma utile a disorientare la vespa cabro e/o altri calabroni e a far sì che essi abbandonino il territorio di caccia trovandosi di fronte un alveare ben organizzato nella difesa dei suoi confini.

In magazzino questo è il momento ideale per completare tutte quelle operazioni che non siamo riusciti ad ultimare nei mesi precedenti come: armare e applicare fogli cerei a nuovi telai, recuperare vecchi favi e fondere la cera, preparare nuove arnie porta sciami, riattare le vecchie arnie usurate e disinfettarle a fiamma.

Ora che siamo giunti alla fine, vorrei salutarvi rivelandovi l’elemento fantastico della “fiaba” dell’ape, il bombo e la farfalla ossia questo mondo bucolico in cui predomina il biologico: una cosa molto rara da poter osservare ai giorni nostri e che per questo deve essere in grado suscitare in noi stupore e meraviglia. E vorrei al tempo stesso indirizzarvi anche verso la morale della “favola” del girasole e dei tre pronubi ovvero: è ormai arrivato il momento che da parte di tutti noi si raggiunga la piena consapevolezza che non è più pensabile praticare un’apicoltura e un’agricoltura che non siano profondamente ecosostenibili ed ecocompatibili e che solo attuando una repentina e brusca inversione di rotta che ci porti ad un comportamento molto più riguardoso e rispettoso dell’ambiente in cui viviamo potremo finalmente riscrivere il finale della nostra personale storia, vale a dire: “…e vissero tutti felici e contenti!”

 

 

 

 



giovedì 25 gennaio 2024

CONTROLLO DELLA SCIAMATURA

Rimuovere il tetto dall'alveare Q+QC quindi, posizionarlo a terra a fianco del nido.










Rimuovere l'escludi regina assicurandosi con cura che la stessa non sia sopra a quest'ultimo.










Effettuata questa operazione spostare l'alveare alla distanza di circa un metro rispetto alla sua posizione originale.








Portare nella posizione occupata precedentemente dall'arnia Q+QC un alveare contenente un nuovo nucleo orfano. Le bottinatrici di Q+QC faranno tutte ritorno nell'alveare che occupa la posizione in cui precedentemente si trovava il loro nido.




A questo punto rimuovere ill tetto e il copri favo all'arnia che abbiamo posizionato al posto della Q+QC avendo cura di posizionarli lateralmente alla stessa. Quindi, cercare nell'alveare Q+QC il favo sul quale si trova la regina ed andarlo a sostituire con un favo della famiglia orfana dell'alveare a fianco. 

Assicuriamoci che sul favo in cui si trova la regina non vi sia la presenza di celle reali. Ora riposizioniamo l'escludi regina sull'alveare (che ora chiameremo Q) all'interno del quale abbiamo trasferito il favo sopra al quale si trovava la regina, posizioniamo al di sopra di esso i due melari, il copri favo e il tetto. Nell'alveare Q+QC  (che ora chiameremo 2x-QC) cerchiamo tutte le celle reali in esso presenti, rimuoviamole tutte eccetto due (le più belle) che lasceremo in sede, quindi richiudiamo il nido.

Dopo 7 giorni da questa operazione postiamo la 2x-QC (che rinomineremo Q) un metro a sinistra rispetto a quella in cui abbiamo trasferito il favo con la regina, la quale occupa la posizione iniziale in cui effettivamente si trovava l'alveare orfanizzato. Questa ultima operazione fa si che nuove bottinatrici vadano a rafforzare l'alveare Q.





 
 

mercoledì 17 gennaio 2024

APITERAPIA CON APITOSSINA

 

Il veleno d’api  sull’uomo ha effetti che variano in funzione della quantità di veleno inoculato, della qualità del veleno (essa dipende dall’ape, dalla sua età, dalla specie e dalla sua alimentazione), dalla zona corporea nella quale viene iniettato il veleno e dalla sensibilità dell’individuo a cui il veleno stesso viene inoculato.

Se un individuo viene punto da un ape può presentare a seguito di tale evento due diversi tipi di reazione: normale e anormale (reazione allergica fino a shock anafilattico).

Il veleno d’api grazie alla sua composizione chimica possiede diverse attività come un azione battericida, batteriostatica, antinfiammatoria, allergizzante etc.

Proprio grazie alla sua specifica azione antinfiammatoria esso viene utilizzato in medicina per la cura dei dolori reumatici, artrosici e da tendinite.


Una volta iniettata a livello intradermico, attraverso una puntura d’ape e/o per iniezione tramite siringa, l’apitossina genera una reazione dolorosa causata dalla sua attività emolitica e neurotossica, tale reazione è dose dipendente. La dose di veleno letale per un individuo umano corrisponde a circa 20 punture per kg di peso corporeo ciò equivale a dire che, tale dose, per un soggetto del peso di 65 kg corrisponde a circa 1300 punture (consideriamo che in un alveare in piena stagione vi sono dalle 50.000 alle 90.000 api). Il dolore insorge immediatamente dopo la puntura e a esso segue la comparsa di arrossamento cutaneo, senso di calore, impotenza funzionale del segmento interessato ed edema della zona colpita in un tempo successivo, alla puntura, variabile fra i 2 min. e le 6 ore, l’edema può persistere per 24/48 ore a volte anche per una settimana. Nell’1% dei casi la reazione può essere sistemica (orticaria generalizzata) ma rimane comunque benigna.

L’utilizzo di apipuntura è controindicato in soggetti diabetici, ipertesi, in trattamento con beta bloccanti e in persone con insufficienza cardio-circolatoria.

L’apitossina può essere somministrata per puntura d’ape, iniezione con siringa, per inalazione (sottoforma spray), in crema, in lozione, in compresse e in gocce. Il suo utilizzo è possibile solo sotto precisa indicazione e prescrizione medica, sotto rigorosa sorveglianza medica, in un ambiente provvisto di strutture e farmaci di rianimazione e solo dopo aver valutato le possibili contro indicazioni che tale trattamento comporta.



lunedì 15 gennaio 2024

PRODUZIONE DI REGINE SENZA IL TRASLARVO

Ringrazio Romano Nesler che con il suo grande sapere e la sua immensa competenza in campo apistico è sempre pronto a mettere a disposizione di tutti le sue conoscenze. Il metodo di cui vi parlerò l'ho appreso da una sua interessantissima lezione ed è relativo alla produzione di api regine che avviene senza la necessità di eseguire la tecnica del traslarvo. Si tratta del metodo Muller molto utilizzato nell'Est Europa. 
La correlazione iconografica che troverete nel post è tratta da slide della presentazione fatta da Romano  Nesler, al quale penso vada un caloroso ringraziamento da parte di tutti per la sua propensione e la sua saggia disponibilità a voler sempre condividere le sue preziosissime conoscenze con apicoltori sia all'inizio della loro attività sia già con maggior esperienza. 



Si parte utilizzando un vecchio favo di cera che viene tagliato a strisce, le quali verranno poi inserite in una famiglia. La regina provvederà immediatamente a deporvi delle uova il giorno seguente ritireremo le strisce di favo, contenenti uova appena deposte, e procederemo come segue.








Una volta ritirate le strisce di favo contenenti le uova le si tagliano in piccoli segmenti rettangolari e le si fissano, con l'utilizzo di viti, alle stecche di un telaio porta stecche.






Ultimazione del telaio porta stecche. Purtroppo, come è facilmente comprensibile le uova deposte nella parte di favo che rimane in continuità con la stecca di legno andranno perse, ma questo a noi poco importa. Sarebbe meglio inserire le stecche in famiglie orfane e senza covata così che siamo sicuri che esse (per forza di cose) costruiranno celle reali.






Dopo 14 giorni tutte le celle reali saranno completamente chiuse e il sedicesimo giorno nasceranno le nuove regine. Quindi, sempre al quattordicesimo giorno provvederemo a recuperare le celle reali e a staccare le stecche di legno tagliandole in più pezzi che portano ciascuno più celle reali, a questo punto si tagliano le stecche ricavandone dei piccoli segmenti con 2 o più celle.









Frammenti di stecche sezionata con taglio delicato pronti per essere inseriti in famiglie orfane








Fissaggio del gruppo di celle su telaio










Dopo aver completato questa operazione e aver preparato, il giorno prima, i nuclei  orfani si vanno a inserire le celle in posizione centrale fra i favi di covata. Le nuove  regine nasceranno dopo due giorni. E' molto importante non aprire più i nuclei fin tanto che non siamo sicuri che le regine siano state sicuramente fecondate.



 

giovedì 11 gennaio 2024

ARNIA A BASSO CONSUMO ENERGETICO

 

Prima di parlare dell’arnia a basso consumo energetico è bene ricordare le modalità attraverso le quali si ha una dispersione di calore da un ambiente a un altro. La trasmissione di calore avviene quando esiste un gradiente di temperatura all’interno di un sistema oppure quando due sistemi a temperatura diversa vengono posti in contatto. La grandezza in transito è il calore che, come il lavoro, produce una variazione dell’energia interna di un sistema. Quindi, lo “scambio termico” può essere semplicemente definito come la trasmissione di energia da una regione ad un’altra, dovuta ad una differenza di temperatura. Esso avviene fondamentalmente attraverso conduzione, convenzione e irraggiamento.

. La conduzione è un processo mediante il quale il calore fluisce da una regione a temperatura maggiore verso una regione a temperatura minore attraverso un solo mezzo (solido, liquido o aeriforme) o attraverso mezzi diversi posti a diretto contatto fisico. Nella conduzione, l’energia si trasmette per contatto diretto tra le molecole. L’irraggiamento è un processo mediante il quale il calore fluisce da un corpo a temperatura maggiore verso un corpo a temperatura minore, quando i due corpi non sono a contatto, anche se tra di essi c’è il vuoto.

L’energia raggiante viaggia alla velocità della luce e presenta una fenomenologia simile a quella delle radiazioni luminose: infatti, secondo la teoria elettromagnetica, la luce e l’irraggiamento termico differiscono solo per le rispettive lunghezze d’onda. Il calore irraggiato è emesso da un corpo sotto forma di quantità discrete di energia dette quanti. La trasmissione del calore irraggiato è simile alla propagazione della luce e può essere perciò descritta mediante la teoria delle onde; quando le radiazioni incontrano un altro corpo, la loro energia resta assorbita in prossimità della superficie. Lo scambio termico per irraggiamento diventa sempre più importante al crescere della temperatura di un corpo. La convezione è un processo di trasporto di energia che avviene mediante l’azione combinata della conduzione, dell’accumulo di energia e del mescolamento.

Questa situazione induce le api a sviluppare un maggior lavoro di contrazione muscolare indispensabile a mantenere i livelli di temperatura ottimali, lavoro muscolare che necessariamente comporterà un maggior dispendio energetico da parte delle stesse che equivale ad un maggior consumo di cibo e a un più precoce invecchiamento delle api stesse con conseguente riduzione della loro aspettativa di vita. È proprio sulla base di questo concetto che nasce l’idea e l’esigenza di creare un’arnia a così detto “basso consumo energetico”.

L’arnia a basso consumo è una struttura semplice che può essere applicata e adattata a qualsiasi modello di arnia Langstroth, Dadant, Voirnot etc. La modifica avviene predisponendo delle strutture di isolamento all’interno della stessa, strutture in grado ri riflettere verso il glomere le radiazioni di calore che da esso diffondono nell’ambiente circostante così da mettere le api in condizione di poter gestire nel modo migliore la temperatura dentro al loro nido senza che essa possa essere influenzata dal clima esterno all’alveare.


La sua costruzione inizia nel preparare un telaio che abbia le dimensioni di un copri favo e che verrà isolato da un lato con un pannello di polistirene e dall’altro con un film riflettente in alluminio dotato di bolle d’aria così da ridurre la trasmittanza del pannello, di zigrinature capaci di aumentare la superficie riflettente, film che grazie alla impermeabilità esterna dell’alluminio è allo stesso tempo capace di esercitare un effetto anticondensa. Il pannello così preparato lo adageremo al fondo dell’arnia con il foglio di polistirene rivolto verso l’esterno della stessa così da creare un buona isolazione e il foglio di alluminio rivolto verso l’interno in maniera tale che possa riflettere verso le api tutto il calore prodotto dal glomere. 





Nella parte anteriore del pannello si effettuerà una fessura lineare di pochi millimetri di dimensione (20 mm di larghezza e 3/4 di altezza) che servirà a consentire l’andirivieni delle api dal loro alveare. 









Una volta adagiato il pannello al fondo dell’arnia potremo posizionare il corpo della stessa sopra di lui come si fa solitamente. 









Fatto questo andremo a predisporre dei diaframmi isolanti da inserire anche all’interno dell’arnia in modo tale da trasformare il nido in un qualcosa di similare a un contenitore termico montato però al contrario. Per far ciò utilizzeremo dei normali telai in legno al cui interno vi mettiamo un pannello di polistirene che avvolgeremo esternamente con il solito foglio riflettente in alluminio dello spessore di 3 mm ritagliandolo in maniera tale che arrivi a toccare le pareti interne dell’arnia così da non consentire alcuna dispersione di calore e qualsiasi corrente d’aria. 







Metteremo un primo diaframma isolante a ridosso della parete laterale dell’arnia; quindi, inseriremo i favi di covata e li racchiuderemo con una nuova sponda fatta da un altro telaio isolante, al di là del quale posizioneremo i favi contenenti il miele e successivamente un nuovo telaio isolante. In questo modo creeremo la stessa organizzazione (in maniera orizzontale) che le api hanno in natura all’interno di un nido verticale sito in un tronco nel quale troveremo favi in alto contenenti miele e polline; quindi, favi vuoti che impediscono il formarsi di un ponte termico e infine favi con covata sui quali esse vivono e fanno il glomere. Questa disposizione consente loro di mantenere la temperatura e l’igrometria del nido a un giusto livello, il miele in alto è più freddo la covata in basso è più calda. Termo immagini effettuate su di un arnia a basso consumo hanno dimostrato come la temperatura nello spazio destinato alla covata sia intorno ai 33/34°C mentre quella nella camera che contiene i favi con il miele è di 26/27°C.  Le api per trasferirsi dalla camera di covata a quella contenete i favi con il miele passeranno al di sotto dei diaframmi coibentati, fra essi e il pannello isolante posizionato sul fondo, dove avranno a disposizione uno spazio non superiore allo spessore di un dito così da riuscire a passare tranquillamente da un lato all’altro.


Infine, chiuderemo la parte alta dell’arnia con un foglio di alluminio riflettente ma che abbia uno spessore e una consistenza maggiore rispetto a quelli utilizzati in precedenza sopra al quale metteremo un pannello isolante in polistirene dello spessore di 3/4 cm. Completate queste operazioni potremo posizionare il tetto dell’arnia, anch’esso coibentato all’interno, che sarebbe meglio dipingere esternamente di colore bianco così che durante i periodi estivi di intensa canicola abbia temperature anche inferiori di 20°C rispetto a quelle che si registrano su tetti lasciati di color alluminio.

 

 






mercoledì 10 gennaio 2024

IN APIARIO A GENNAIO

 

Gennaio è arrivato e con lui anche il vero inverno e una nuova stagione apistica sta per cominciare, sperando che il freddo e la neve non disertino il loro usuale appuntamento. Il guardiano delle api può permettersi giornate relativamente tranquille, senza però scordarsi di buttare sempre un occhio all’apiario. Se ci saranno nevicate, specie se abbondanti, è opportuno rimuovere la neve dall’ingresso degli alveari poiché essa è permeabile ai gas, ma se dovesse ghiacciare potrebbe alterare il corretto ricambio d’aria all’interno dei nidi. In questo periodo della stagione le giornate iniziano progressivamente e costantemente ad allungarsi, mentre fra gli arbusti inizia il debutto delle fioriture del nocciolo e le famiglie all’interno delle loro casette continuano, fortunatamente, a proteggersi dal freddo consumando pian piano le loro riserve alimentari. In questa ideale condizione il peso dell’alveare diminuisce in media di 500/1000 grammi al mese. Controlliamo che le arnie non diventino troppo leggere, in caso contrario non esitiamo a somministrare del candito, sarà molto gradito alle nostre amichette e ci aiuterà a non lasciar morire di fame le preziose famiglie che custodiamo. Per il resto il mese di gennaio, per noi apicoltori, è forse il periodo più tranquillo durante il quale possiamo goderci un meritato riposo leggendo magari quelle riviste e/o quei libri di apicoltura che avremo sicuramente trovato sotto l’albero il giorno di Natale. Verso il finire di gennaio, un pochino più tardi nelle zone maggiormente a nord, all’interno del nido riprenderà l’attività di cova da parte della regina. Le giornate più lunghe e la maggior intensità di luce, che riuscirà a passare all’interno dell’alveare introducendosi dalla porticina di volo, stimolano le api a consumare una più grande quantità di miele e di polline e a produrre più pappa reale per sostenere la regina nella sua attività di cova. In una bella e tiepida giornata potremmo provare a rimuovere il tetto dell’arnia e a posare la nostra mano sul coprifavo e se avvertissimo un piacevole tepore, cosa sicuramente molto auspicabile, sarà il segno che ci troviamo alla presenza di una famiglia forte e vigorosa.

Se altro tempo ce ne rimane, non sprechiamolo, utilizziamolo per far pulizia intorno ai nostri alveari rimuovendo rovi e sterpaglie che impediscono alle api di aver un buon ricambio d’aria all’interno del nido e a noi di avere un comodo passaggio da utilizzare per posare e rimuovere i melari quando sarà giunta l’ora. Come sostiene un vecchio e saggio detto: “ là dove il carretto non passerà sarà la schiena dell’apicoltore che soffrirà”, permettetemi, a questo proposito, un consiglio da vecchio e consumato ortopedico: lavoriamo sempre utilizzando un corsetto semirigido, quando si è giovani le fatiche non si sentono, ma quando i primi capelli iniziano a ingrigire la nostra colonna vertebrale ci rinfaccerà tutte le fatiche a cui l’abbiamo sottoposta nell’arco degli anni!

Verso la fine di gennaio anche se le arnie sono ancora discretamente pesanti, segno che in esse sono presenti delle buone riserve di cibo, io preferisco comunque somministrare del candito sarà sicuramente cosa gradita che permetterà alle mie apette di risparmiare consumo di miele e polline immagazzinato che diventerà una preziosa riserva sul finire di marzo e a inizio aprile in periodi di lunghe e abbondanti piogge. Gennaio è anche il tempo per l’apicoltore di dedicarsi alle attività di magazzino: riparare le vecchie arnie, pulirle, riverniciarle piuttosto che proteggerle con impregnante a base di olio di lino cotto secondo le proprie abitudini e preferenze. Ricordiamoci che non esistono prodotti miracolosi che possano regalare protezione ad un legno di cattiva qualità, mentre se abbiamo arnie costruite con buon legno esse resisteranno negli anni, questo è il motivo per cui non bisogna mai lesinare sulla qualità del materiale che acquistiamo perché in questo caso vale proprio la regola, come cita un vecchio e saggio detto, che “chi più spende meglio spende”. Approfittiamo anche di queste giornate non solo per ridipingere le vecchie arnie, ma anche per disinfettarle e, a mio avviso, una più che soddisfacente disinfezione la possiamo ottenere semplicemente passando a fiamma l’interno della cassa con l’utilizzo di un chalumeau. Occorrerà “flambare” bene l’interno fino a che non vedremo il legno divenire di colore bruno così avremo la certezza di aver eliminato la quasi totalità dei germi che in esso si annidano, ricordiamo, infatti, che le spore della peste resistono fino alla temperatura di 140°C. Se invece possediamo delle arnie di plastica, occorrerà lavarle all’interno con della soda caustica, non prima di aver indossato tutte le protezioni necessarie al fine di proteggere i nostri occhi e il nostro corpo.

Gennaio è anche il mese in cui si organizzano molti corsi di apicoltura, se avete partecipato ad uno di questi e la vostra intenzione è quella di debuttare in questa meravigliosa disciplina, qual è l’apicoltura, ora è il periodo opportuno per acquistare il materiale necessario cominciando proprio dalle arnie ricordando che le api nel bene e nel male si adattano a qualsiasi tipo di spazio per cui saremo noi a dover scegliere il tipo di arnia più consono al modello d’apicoltura che abbiamo deciso d’intraprendere. Probabilmente il metodo meno complicato per gestire l’attività d’apicoltore lo garantisce l’arnia orizzontale (arnia keniana): è un’arnia a venti telai che ci permette di allevare con discreta semplicità le nostre api, anche se, con questo modello, è un po’ complicata la raccolta del miele. Se amiamo un’apicoltura che permette all’ape di crescere come farebbe in natura, ossia sviluppando la colonia dall’alto verso il basso, allora è meglio dirigersi verso un’arnia ecologica (Warré migliorata), in questo caso sarà più semplice la raccolta del miele e non sarà necessario dotarsi di un banco per disopercolare e nemmeno di una centrifuga. Infine, se avessimo, invece, deciso di praticare un’apicoltura, così detta, moderna non ci resterà che rivolgerci verso l’acquisto di un’arnia tradizionale composta da un corpo (il nido) e dai melari tipo l’arnia Dadant e/o la Langstroth.

Sul finire di gennaio noi, così come le nostre apette, inizieremo a intravvedere l’avvicinarsi di una prossima primavera che presto verrà a bussare alle porte, è giunto il momento di sintonizzarci al meglio sulle frequenze dei nostri alveari per sostenere nel migliore dei modi le nostre guerriere rombanti nel momento della piena ripresa della loro attività.

 

 



LAVORI IN APIARIO AD APRILE

  Con l’arrivo del mese di aprile per noi apicoltori termina definitivamente il periodo dell’osservazione ed inizia, a spron battuto, il mom...