Daniele
Besomi, economista svizzero, è anche un appassionato apicoltore e ormai da
diverso tempo si sta dedicando allo studio della temperatura all’interno dell’alveare.
In breve, vedrò di sintetizzarvi il frutto della sua importantissima ricerca.
Prima di addentrarci nell’argomento è bene però ricordare le modalità
attraverso le quali avviene la propagazione del calore. Il calore si propaga
per:
conduzione
ossia
quando si trasmette fra due corpi solidi a contatto ciascuno dei quali ha una diversa
temperatura rispetto all’altro;
convenzione come
avviene nei fluidi nei quali il calore si propaga per spostamento di materia
irraggiamento
quando il calore si propaga nell’ambiente attraverso radiazioni.
La
temperatura all’interno dell’alveare varia al variare delle diverse condizioni
climatico ambientali dell’ambiente esterno e alle diverse esigenze fisiologiche
del superorganismo alveare all’interno del proprio nido. Per esempio, nell’alveare
in inverno la temperatura interna segue le oscillazioni di quella esterna se si
è in assenza di covata, mentre in presenza di covata la temperatura viene
portata a 34°C. Durante il periodo estivo la temperatura all’interno del nido
si mantiene più o meno stabile con valori intorno ai 35°C. che possono
oscillare fra i 34,5°C. e i 35,5°C. Nel periodo che precede la sciamatura,
circa 30 min. prima che le api abbandonino il nido esse iniziano, attraverso la
contrazione muscolare, a riscaldare il proprio torace portandolo a 35°C, per
essere pronte a spiccare il volo e al momento della loro uscita dall’alveare la
temperatura raggiunge i 37°C. In presenza di blocco d covata la temperatura
scende progressivamente dai 35°C. ai 28°C. Quando nel nido non vi è presenza di
covata si osservano ampie oscillazioni della temperatura interna che variano al
variare della temperatura dell’ambiente esterno, mentre in presenza di covata
la temperatura nell’alveare si mantiene costante a prescindere dai valori
esterni. La temperatura è stabile e costante nella parte centrale del nido
mentre è più soggetta a variazioni nella periferia. La temperatura è, inoltre,
costante nella parte centrale del favo mentre va a diminuire verso la sua
periferia dove non vi è presenza di covata.
Uno dei vantaggi che ci fornisce la conoscenza della temperatura presente in un dato momento all’interno dell’alveare è quello, per esempio, di sapere se in quel preciso momento siamo in presenza o meno di covata così da poter programmare eventuali trattamenti senza avere la necessità di dover disturbare le api aprendo il nido per cercare la covata. Qualora rilevassimo una temperatura inferiore ai 25°C. potremo essere certi che in quel nido non ci sia covata. Le api per scaldare utilizzano la contrazione della muscolatura delle loro ali e riescono, attraverso questo meccanismo, a produrre un calore che può arrivare fino a 45°C. come avviene quando circondano un calabrone e lo surriscaldano fino a farlo morire. Nello stesso alveare abbiamo la presenza di sorelle e sorellastre a seconda della paternità e, ciascuna sorella avrà una propria specifica sensibilità alla temperatura rispetto alle altre sorellastre così che per esempio alcune inizieranno a sentire l’esigenza di dover riscaldare quando la temperatura raggiunge un certo livello, altre lo faranno con qualche grado in meno e/o in più a secondo della loro specifica caratteristica genetica trasmessale dai geni del fuco con i quali il loro uovo è stato fecondato. Le api non riscaldano l’aria presente nell’alveare, ma si limitano a riscaldare solo la covata e per raggiungere questo scopo infilano la testa in un alveolo vuoto presente nella covata e iniziando a contrarre la loro muscolatura riscaldano un’ampia zona di favo circostante arrivando a scaldare anche 20/40 pupe. Un’ape riesce a scaldare la covata per un tempo massimo di 30 min. quindi verrà sostituita da una compagna e avrà così modo di andare a rifocillarsi per recuperare energie. In presenza di temperature ambientali esterne più miti all’ape basterà appoggiare il suo torace all’opercolo per riscaldare la covata senza dover necessariamente infilare la testa in una celletta vuota. Una volta che il favo contenete la covata è stato riscaldato esso, grazie alla sua inerzia termica, sarà capace di mantenere per più tempo la temperatura raggiunta. Al contrario i meccanismi che le api attuano per raffreddare la temperatura nel nido possono essere di diverso tipo, possono semplicemente ventilare con le loro ali, oppure per temperature più elevate raccolgono acqua dall’esterno e la nebulizzano sui favi, la ventilazione creata dalle vibrazioni delle loro ali fa evaporare l’acqua, la quale evaporando sottrae calore al favo. Esse possono, infine, più semplicemente adagiarsi sugli opercoli e sottrarre, con il loro corpo, calore a questi per poi portarlo all’esterno dell’alveare levandosi in volo.
Ad una
temperatura di 4°/5°C. l’ape entra in coma termico e così vi può stare per
qualche minuto poi se verrà riscaldata si riprenderà volandosene via in caso
contrario andrà incontro a morte, questo è il motivo per cui alla periferia del
glomere la temperatura non scende mai al di sotto di un valore di sicurezza che
le api hanno stabilito essere di 9°C. Le api quando la temperatura inizia a
essere pari ai 15°C. si riuniscono in glomere e il glomere viene sempre formato
in posizione anteriore in prossimità della parete più calda dell’alveare
generalmente quella esposta a sud che rimane irradiata per più tempo dai raggi
del sole.
Allo
stato selvatico le api stoccano le riserve di cibo nella parte più alta del
nido mentre iniziano a formare il glomere nella parte più bassa. Poi a mano a
mano che consumano le scorte di cibo risalgono verso l’alto tenendo il glomere
compatto e mantenendo una adeguata temperatura di sopravvivenza. Nelle arnie
che noi forniamo loro questo meccanismo viene in un certo qual modo impedito perché
consumate le scorte di un favo esse avranno la necessità di raggiungere un favo
adiacente e per far ciò dovranno scioglier il glomere raffreddandosi. In alcuni
casi la temperatura all’interno del nido è talmente bassa che esse non
riusciranno a compiere questo spostamento ecco spiegato il motivo per cui può
capitare, in primavera, di trovare famiglie morte di fame nonostante la
presenza nel nido di ampie riserve di miele. Più è freddo e più il glomere è
serrato per bloccare il passaggio d’aria e impedire che il calore interno venga
dissipato all’esterno. Nella parte centrale del glomere si registra una
temperatura di 32°C. mentre questa scende, a mano a mano che si procede verso l’esterno,
fino ad arrivare ai 9°C. che si registrano alla periferia. Fintanto che la
temperatura esterna al nido non scenderà al di sotto dei – 3°C. il glomere
riuscirà a mantenere la sua omeostasi termica senza che le api abbiano la
necessità di contrarre la loro muscolatura per produrre calore (in altre parole
non ci sarà consumo di cibo per produrre energia), al di sotto dei meno tre
gradi le api, per riscaldare il glomere, dovranno invece iniziare a contrarre i
propri muscoli. Il risultato di questo meccanismo porta a un aumento del
metabolismo che comporta produzione di CO2, la quale viene espulsa dal nido e la
produzione di acqua attraverso il meccanismo della evaporazione. Quest’acqua in
gran parte viene riutilizzata mentre solo il 10% di essa verrà eliminata attraverso
la defecazione. Le api al centro del glomere riscaldando attraverso la
contrazione muscolare vanno incontro a una progressiva disidratazione, mentre
quelle alla periferia assorbono l’acqua che evapora dall’addome di quelle al
centro. Con gli spostamenti regolari di api dalla periferia al centro e
viceversa si ha uno scambio di acqua, ossia le api all’esterno migrando verso
il centro del glomere (per dare il cambio a quelle che hanno lavorato
contribuendo a riscaldare la famiglia) cedono parte dell’acqua, in precedenza
assorbita, a quelle (disidratate) che dal centro si spostano verso la periferia.
Ricordo a tal proposito che un alveare in salute necessità di avere un grado di
umidità al suo interno pari almeno al 60/70% (90/95% in presenza di covata).
Quando la temperatura, nel nido, raggiunge i 10°C. il glomere può iniziare
gradualmente a sciogliersi e le api potranno spostarsi così da un favo all’altro
per raggiungere nuove scorte di cibo.
Il
nido fa da schermo fra il glomere e l’ambiente esterno, in natura le api
scelgono nidi molto ben coibentati, solitamente all’interno di alberi con
spessore della parete che arriva fino a 15 cm. Le arnie che noi mettiamo a loro
disposizione non raggiungono tali livelli di coibentazione e ciò mette le api
nella condizione di avere un maggior consumo di cibo per mantenere una corretta
omeostasi termica. La coibentazione diminuisce l’escursione termica, per
esempio, una Warré coibentata riesce a mantenere una temperatura minima interna
che è circa sempre superiore di 3°C. rispetto alla minima esterna, mentre una
Warré non coibentata presenta fluttuazioni più o meno sovrapponibili a quelle
che si verificano alla temperatura esterna. Una Dadant di giorno riesce a
raggiungere 2°/3°C. in più rispetto alla temperatura esterna ma la notte si
raffredda assumendo valori sovrapponibili a quelli della temperatura esterna.
Il posizionamento di diaframma (è sempre corretto posizionarne due, uno per
lato) migliora l’efficienza termica del nido, il miglior diaframma è in polistirene
e deve avere le dimensioni del nido (ossia impedire passaggio d’aria e quindi
dispersione di calore) e deve essere ricoperto da tessuto riflettente così da
poter riflettere sul favo il calore che si dissipa sotto forma di radiazione. Una
corretta riduzione del volume del nido mediante posizionamento di due buoni
diaframmi consente di ridurre di molto la dispersione di calore permettendo
alle api di potersi allontanare dal glomere per attendere ad altri lavori.
Daniele
Besomi, inoltre, è riuscito a dimostrare nei suoi studi di rilevazione delle
variazioni di temperatura nell’alveare che la somministrazione di ossalico
spruzzato e/o gocciolato in una famiglia in assenza di covata con temperatura
intorno a 21°C provoca, nella stessa, un immediato innalzamento della
temperatura fino a 34°C. che si mantiene per 8/10 giorni e che si accompagna a
nuova deposizione di covata da parte della regina. Inizialmente pensò che tale
reazione fosse dovuta allo stress indotto alle api dall’apertura del nido;
quindi, provò a spruzzare solo acqua e zucchero e si accorse che anche in
questo caso vi era un innalzamento della temperatura fino a 34°C. che durava
però solo per 2 giorni e che non comportava una ripresa della deposizione da
parte della regina. Concludendo pare proprio che sia l’acido ossalico a indurre
un innalzamento della temperatura, per più giorni, con ripresa della covata ma la
causa di questo fenomeno, purtroppo, non è ancora nota.
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