Era il principio degli anni Novanta
quando, nel pieno della mia carriera professionale di chirurgo ospedaliero,
sentivo crescere in me il desiderio di confrontarmi con realtà diverse per
apprendere nuove tecniche, nuove metodiche e nuove competenze che avrebbero
potuto accrescere le mie conoscenze mediche permettendomi di affinare sempre
più la mia capacità e il mio sapere scientifico. L’occasione giusta si presentò
quando partecipai a un congresso, tenutosi all’ospedale di Menaggio,
organizzato dal Professor Yves Allieu, a quei tempi, massimo esponente della
chirurgia della mano a livello mondiale. Rimasi affascinato da quel grande
personaggio e dalle sue competenze chirurgiche così che riuscii a farmi
ospitare presso il suo reparto di chirurgia della mano all’ospedale Lapeyronie
di Montpellier, per uno stage di un mese. Durante questo mio primo lungo
periodo di trasferta rimasi sorpreso nel costatare l’alta considerazione che i
Francesi hanno nei confronti di noi medici italiani e, allo stesso modo, rimasi
comunque sorpreso anche dalla loro disinvoltura nello spingersi oltre gli
schemi e oltre le regole azzardando, in alcuni casi, una pericolosa ma
consapevole imprudenza e un’audace spregiudicatezza nell’esecuzione di tecniche
chirurgiche. Fu amore a prima vista nel vedere il modo inconsueto, per noi
Italiani, con il quale i Francesi si approcciavano alla chirurgia della mano,
così da allora “peregrinai” per molti ospedali della Francia: Lille, Digione,
Parigi, Nizza, Lione, Tolosa per soddisfare la mia sete di conoscenza e di
sapere medico fino a che nel 1993 riuscii anche a diplomarmi in patologia
chirurgica della mano e dell’arto superiore presso l’Università di Montpellier.
Memore di questa bellissima esperienza,
ora che ho più tempo da dedicare alla mia passione per l’apicoltura, ho voluto
vedere se la stessa spregiudicatezza nello spingersi oltre gli schemi e le
regole la si riesca a riscontrare, non solo nei medici, ma anche negli
apicoltori Francesi ed è a questo proposito che vorrei parlarvi dell’amico Jean
Claude Guillaume apicoltore e autore, fra l’altro, di un interessante libro: “L’apicoltura
ecologica dalla A alla Z”. Jean Claude ama definirsi un apicoltore ecologista e
ha come scopo nella vita e nella sua professione quello di proteggere le api,
particolarmente le specie locali autoctone del territorio, e sensibilizzare
l’opinione pubblica sul grave pericolo che esse stanno correndo parlando della
sindrome da spopolamento degli alveari, delle cause responsabili di tale
situazione e delle possibili soluzioni che tutti potremmo attuare, nel nostro
piccolo, per porvi rimedio. Egli sostiene che, a prescindere da qualunque sia
il nostro ruolo nella società, produttori, consumatori, cittadini e/o politici,
è indispensabile che ciascuno di noi prenda coscienza di tutte le cause che
contribuiscono a determinare la scomparsa delle api per poi agire di
conseguenza cercando d’invertire la rotta di questa devastante e pericolosa
deriva. Jean Claude sostiene, inoltre, che chiunque si voglia approcciare a
questa meravigliosa disciplina, qual è l’apicoltura, lo faccia in modo
consapevole e rispettoso di un modello naturale. Egli si ritiene un esponente
di un’apicoltura che non esita a definire di “salvaguardia” che si pone in
contrasto con l’apicoltura moderna da lui stesso definita un’apicoltura di
sfruttamento. I suoi principi sono: rispetto del modo naturale di vita delle
api; protezione delle api e non produzione sfrenata di miele, polline, propoli
e gelatina reale; utilizzo di arnie che siano adatte allo sviluppo fisiologico
e naturale di crescita delle famiglie (arnia ecologica o Warré migliorata); non
praticare la transumanza; eseguire trattamenti chimici solo in rari casi
eccezionali; attuare una condotta semplificata e poco interventista nella
gestione degli alveari. Oltre alle cause, ormai ben note a tutti, che
contribuiscono a determinare la scomparsa delle api: perdita della bio
diversità con conseguente riduzione delle riserve naturali di polline e
nettare, contaminazione del suolo da utilizzo intensivo di pesticidi e
diserbanti, inquinamento elettromagnetico, Jean Claude individua nell’apicoltura
moderna, secondo lui di sfruttamento, una delle più gravi cause che
contribuiscono alla scomparsa delle api in quanto, per i suoi metodi di
produzione intensiva dei prodotti dell’alveare, porta necessariamente a un
indebolimento delle colonie e alla loro degradazione con conseguente perdita
delle stesse e della qualità dei prodotti da esse ricavati.
Nella sua disamina egli sostiene come
sia giusto che l’apicoltore, che vive del lavoro delle proprie api, cerchi di
ottimizzare la produzione, ma allo stesso tempo ritiene indispensabile che egli
attui anche una politica di protezione delle proprie api. Jean Claude pone
l’accento, inoltre, su come paradossalmente in questo periodo vi siano
programmi politici che tendono a proteggere l’apicoltura, ma come non esista
alcun programma di tutela per l’ape. Sarebbe necessario combattere lo
sfruttamento, a oltranza, del lavoro delle nostre colonie istituendo corsi di
formazione per gli apicoltori per evitare che l’ape divenga la principale
vittima della cupidità e della stupidità dell’uomo. C’è un tasso talmente alto
di mortalità delle api che il problema principale, adesso, non è tanto quello
di produrre miele, ma piuttosto quello di difendere questi meravigliosi insetti,
che sono il vero capitale di ciascun apicoltore. A livello politico, inoltre,
manca la volontà di intervenire con programmi drastici che dettino regole
ferree per impedire l’utilizzo di tutte le sostanze tossiche per le api; questo
probabilmente perché la politica è, in parte, sottomessa agli interessi
economici che rappresentano il vero e reale business. Lo stato attuale, visto
il crescente tasso di mortalità di questi imenotteri, fa temere per una loro
scomparsa, spalancando la porta a uno scenario che si preannuncia sicuramente
catastrofico.
Jean Claude prosegue la sua analisi
affermando che per attuare un corretto sostegno alle api bisognerebbe passare
da un’apicoltura di sfruttamento a una di tutela di questi preziosi insetti. La
differenza fondamentale fra i due approcci all’allevamento è che nel primo caso
noi portiamo via tutto alle nostre operaie alate: miele, polline, propoli e
gelatina reale così che alla fine a esse non resterà più nulla. Nell’apicoltura
di salvaguardia, che egli definisce ecologica e/o ecologista, la situazione è
molto differente perché questa si basa su un concetto di condivisione dei
prodotti dell’alveare fra uomo e ape. L’apicoltura ecologica utilizza delle
arnie apicentriche, ricavate da una modifica attuata al modello Warré, le quali
consentono di prelevare miele lasciandone però una giusta quantità all’alveare
perché la famiglia possa superare l’inverno in tutta sicurezza. Nell’apicoltura
di sfruttamento spesso si tende, per avidità, a lasciare l’alveare con scarse
riserve, se non in alcuni casi addirittura sprovvisto di miele, per poi,
paradossalmente, ricorrere a un’alimentazione di sostegno a base di sostanze
zuccherine che in natura non rappresentano la nutrizione ideale per i nostri indispensabili
insetti.
Sempre, secondo il pensiero di Jean
Claude, l’arnia Dadant non è stata concepita per il benessere delle api, ma
unicamente per il loro sfruttamento. Egli la ritiene, a causa della sua
struttura, non in grado di garantire una buona e sufficiente ventilazione creando
così le condizioni che rendono difficoltoso alle api attuare una buona regolazione
della temperatura. L’insieme di questi fattori, sempre secondo Jean, determina
una cattiva gestione dell’umidità all’interno del nido con l’insorgenza di
tutte le complicanze a essa connesse. Inoltre, tale struttura, per essere
ispezionata costringe l’apicoltore ad aprirla sollevando il coprifavo, questa
manovra comporta un importante disturbo alla famiglia ospite di quell’arnia poiché
altera il “bioclima” all’interno dell’alveare costringendo così le api a un surplus
di lavoro per riportare i valori termici al loro livello fisiologico. L’arnia
Dadant e/o qualsiasi altra arnia a quadri, sostiene Jean Claude, ci obbliga a
utilizzare telai provvisti di foglio cereo: essi generano un effetto negativo poiché
impediscono all’ape di produrre la sua cera. I fogli cerei, inoltre, spesso
contengono sostanze microbiche e/o chimiche non gradite se non addirittura
dannose per le api, mentre nell’arnia ecologica la cera è interamente prodotta
dalle ceraiole ed è un’ottima cera vergine. Una volta acquistata un’arnia
Dadant si entra in un sistema perverso che ci obbliga a comprare della cera,
dei telai e telaini, dei prodotti chimici per trattare le api, dei banchi per
disopercolare delle centrifughe per la smielatura; tutto ciò, sempre secondo
l’amico francese, va contro l’interesse delle api e dell’apicoltore perché è un
sistema studiato unicamente per generare un business che produce vantaggi solo
a chi lo ha concepito.
“L’apicoltura ecologica che pratico io”,
prosegue Jean Claude nella sua disamina, “è completamente differente da quella
moderna giacché è studiata in maniera tale da assecondare il modo naturale
della vita dell’ape permettendole, come avviene in natura, di costruire i suoi
favi partendo dall’estremità superiore dell’alveare per poi discender verso il
basso. Quando la stagione volge al termine, le ceraiole saranno arrivate con la
costruzione dei favi fino alla parte inferiore del nido e nella porzione
terminale di questi favi esse costruiranno celle con un’inclinazione ancora maggiore
rispetto al normale per garantire un minor afflusso di aria fredda all’interno
del nido. In un’arnia Dadant ciò non è possibile poiché il foglio cereo guida
l’ape alla costruzione di alveoli secondo uno schema imposto dall’uomo e non
suggerito dalla natura. Nell’arnia ecologica, inoltre,” spiega Jean Claude,” le
api riescono a formare un glomere più compatto che consente loro di risalire
con moto circolare all’interno dell’alveare, facilitando sia il mantenimento
dell’omeostasi termica sia il raggiungimento delle riserve di miele in maniera
più semplice e meno dispendiosa di calore e di energie. Contrariamente a quanto
avviene per un’arnia Dadant, una volta acquistata e/o fabbricata un’arnia ecologica,
l’apicoltore non ha più bisogno di nulla, né fogli cerei, né telai, né prodotti
chimici e l’unico compito che lo impegnerà sarà quello di accertarsi che tutto
vada bene. Inoltre non ci sarà più bisogno di alcun intervento salvo che non compaia
qualche grosso problema imprevisto. Sostanzialmente il lavoro dell’apicoltore “ecologista”
si riduce a un lavoro di pura sorveglianza: sorvegliare il predellino di volo,
l’interno dell’alveare, ispezionandolo attraverso i vetri d’osservazione, e
l’evoluzione della flora locale perché l’ape vive in simbiosi con l’ambiente
circostante. La fioritura di un tipo di fiore piuttosto che un altro spinge la
colonia a un lavoro particolare e quindi, essendo l’arnia ecologica composta da
un sistema modulare, l’apicoltore attento saprà individuare con esattezza il
momento corretto in cui aggiungere un nuovo modulo alla struttura. I nuovi
moduli devono essere aggiunti alla parte inferiore dell’alveare per consentire
così il naturale sviluppo della colonia dall’alto verso il basso”. Prosegue
Jean Claude:” l’arnia ecologica è studiata in maniera tale che soddisfi i
criteri di crescita della famiglia, gli stessi che essa cercherebbe
spontaneamente in natura. Ha le dimensioni corrette affinché possa mantenere
una buona termoregolazione, è strutturata in modo tale che al suo interno vi
sia una giusta circolazione d’aria la quale impedisce il formarsi d’umidità,
consente alla colonia di svilupparsi dall’alto verso il basso, come avviene
fisiologicamente in natura, e permette alle api di arrestare l’attività quando
la stagione non è più favorevole allo sviluppo della famiglia. L’elemento
innovativo nell’arnia ecologica è il tetto che è, in realtà, una camera di ventilazione,
la quale consente di avere sempre all’interno dell’alveare una temperatura
stabile e un’umidità che sia contenuta entro i limiti necessari a un buono
sviluppo della famiglia. Questa ventilazione crea un flusso d’aria che consente
di rinfrescare l’alveare se è troppo caldo o di far si che sia mantenuta una
buona temperatura attraverso la riduzione dello stesso flusso, inoltre, al
medesimo tempo, consente di deumidificare un alveare che per svariati motivi
potrebbe esser divenuto troppo umido. In un’arnia ecologica l’unico ingresso
per l’aria è a livello della porticina di volo che è la sola apertura
attraverso la quale può entrare dell’aria per il ricambio dell’atmosfera
all’interno del nido, la stessa aria poi uscirà dall’alto passando attraverso
la camera di ventilazione. L’aria per passare dal nido alla camera di
ventilazione deve attraversare una rete antizanzare propolizzata dalle api,
saranno le stesse api, aumentando o diminuendo la propolizzazione di questa
rete, a determinare il volume del flusso d’aria in ingresso e in uscita
indispensabile a mantenere la miglior salubrità all’interno del nido.”
È fondamentale,” prosegue Jean Claude”, per
usufruire di tutti i vantaggi che l’arnia ecologica garantisce nella gestione
dell’alveare, che essa sia collocata in territori lontano da colture intensive
e/o da monocolture estensive e che sia scelto un luogo privo di contaminanti e
con un pascolo che sia il più vicino possibile alla dislocazione degli alveari
stessi.”
Infine, ricorda l’amico francese, la raccolta
del miele da un’arnia ecologica non richiede la necessità di possedere una
particolare attrezzatura, basterà munirsi di un maturatore e di un filtro sul
quale mettere a percolare il miele spremuto direttamente dai favi raccolti. Asportando
insieme al miele gli interi favi in cui esso è stato depositato, si riesce all’arrivo
di ogni nuova stagione a far si che nell’alveare vi sia sempre la presenza di
nuova cera e nuovi favi. Concludendo, ricorda Jean, con l’utilizzo dell’arnia ecologica
la varroa diviene un problema relativo poiché le famiglie, allevate in queste
strutture e secondo un criterio naturale, si mantengono in ottima forma
mostrando una maggiore forza e conseguentemente una miglior resistenza alla
aggressione da parte di questo temibile parassita.
Credo si possa condividere o meno il
pensiero di Jean Claude ma, allo stesso modo, penso che non gli si possa negare
quella audace e altrettanto affascinante, a mio avviso, caratteristica,
tipicamente Francese, ossia quella capacità di riuscire ad affrontare i
problemi spingendosi spregiudicatamente oltre gli schemi convenzionali.
Pensare che se alla nostra creatività, inventiva e genialità sapessimo
aggiungere la spregiudicatezza mostrata dai cugini d’oltralpe probabilmente
saremmo in grado di fare cose ancora più grandi e sicuramente riusciremo a
comprendere con maggior serenità che il nostro scopo non è quello di fare più
miele ma è quello di salvaguardare il benessere e la salute delle nostre api,
come insegna l’amico Jean Claude.
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