venerdì 27 ottobre 2023

UN APICOLTORE IN VESPA


La passione per le api
Così come, da incallito Vespista, vi dico che la passione per la Vespa non la si può spiegare perché la Vespa più che uno scooter è uno stato mentale, allo stesso modo vi racconto che anche la passione per le api non la si può spiegare. Essa, infatti, non è qualcosa che nasce nel tempo o che impari osservando, la passione per le api viene da dentro. È un sentimento che inizialmente cerchi di nascondere con pudore, quasi un non so che di cui vergognarsi, che diviene però senso di profonda gioia e di grande emozione da condividere con il mondo intero quando finalmente, dopo il tuo primo corso didattico, riesci a diventare con immensa soddisfazione un berger des abeilles. Così per non voler sfuggire a questa regola granitica vi confesso che la mia passione per le api me la son portata dentro fin da ragazzino e la sentivo crescere con me affascinato da queste meravigliose creature alate che volteggiano come piccole virgole rumorose sospese nel cielo accarezzando prima uno poi l’altro fiore fino a scomparire più tardi all’orizzonte mentre fanno ritorno al proprio alveare. Come un adolescente che cresce, che in un impeto di coraggio velato da una coltre di timidezza e d’imbarazzo da far quasi tenerezza, sente il bisogno di dichiarare i suoi sentimenti alla propria amata allo stesso modo il portatore sano di passione per le api prende coscienza di questa insolita deviazione e inizia a condividerla con le persone di cui più si fida: nasce così il momento della consapevolezza! È proprio questo il momento in cui senza più nessun pudore e nessuna vergogna inizi a cercare la strada più breve e migliore per riuscire ad imparare l’arte dell’apicoltura.

La mia avventura apistica iniziò in un fine gennaio di molti anni or sono a Sirtori, una ridente località della Brianza Lariana, in una splendida cascina nella quale tutto sapeva di buono e tutto intorno si assaporava il gusto di pura campagna. Iniziò un sabato pomeriggio, accompagnato dalla prima neve di quel lungo e freddo inverno, eravamo una trentina di corsisti che preso possesso del proprio posto all’interno di un aula, per la verità un po’ improvvisata, iniziarono a guardarsi con consapevole sospetto, con saggia circospezione e alla fine anche con compiacente meraviglia mentre tutto intorno a loro, nell’attesa che arrivasse il maestro, era solo il rumore della ventola di una calda stufa a pallet che rollava a pieni giri nell’improbabile tentativo di riscaldare un’ambiente molto più grande di lei. Finalmente ecco apparire Elio: il maestro. Fece con eleganza i dovuti onori di casa e ci presentò la sua equipe, il fratello Alfonso e l’amico Umberto, in realtà omise di presentarci il quarto componente di questa eccezionale banda: la sua simpaticissima mamma che a causa di questa manchevole e forse voluta omissione non avemmo avuto modo di conoscere personalmente, ma che imparammo ad apprezzare per lo splendido caffè che ci preparava nell’intervallo di quei pomeriggi di lunghe lezioni. Umberto, parlando il primo sabato pomeriggio, ci spiegò la parte introduttiva quella relativa alla biologia dell’ape, alle varie specie di api esistenti e nell’ambito dell’ Apis mellifera alle varie razze in essa presenti. Poi fu la volta di Elio che ci dedicò perle di saggezza raccontandoci dell’alveare dei suoi abitanti, delle attività svolte dalle operaie, del volo nuziale della regina e dell’ingrata fine del povero fuco.

Il loro parlar d’api ci affascinava, l’entusiasmo e la passione che trasudava da quel loro grande e profondo sapere su questo splendido universo ape, per certi versi a noi ancora ignoto, ci coinvolgeva a tal punto da farci sentire un unico insieme esattamente quasi come quell’unico insieme che è il superorganismo presente all’interno dell’alveare. Finii il corso dopo quattro interessantissimi sabato pomeriggi passati in quel di Sirtori ad ascoltare attentamente altrettante entusiasmanti lezioni di quel corso veramente molto ben organizzato, ma la mia decisione iniziale sarebbe stata quella di abbandonare l’idea di praticare l’apicoltura, se non fosse altro per il terrore di dover aprire delle arnie al cui interno si sarebbe rivelata la presenza di un numero variabile fra i 70.000 e i 90.000 insetti pronti a colpirmi con il loro pericolosissimo dardo avvelenato. Raccontai questa avventata decisione a Stefania la mia adorata mogliettina e complice consapevole, fervida sostenitrice nell’incoraggiarmi a mettere in pratica tutte le idee più malsane che di volta in volta passano per la mia mente. Anche in quell’occasione Stefania non esitò un attimo nel sostenermi, poche e coincise parole bastarono a convincermi: “è tanto tempo che desideri avere delle api ora che finalmente hai fatto un corso d’apicoltura potresti iniziare con due soli alveari e se poi non ti dovesse piacere li potresti sempre riportare ad Elio”. Così colpito nell’orgoglio e senza nemmeno farmelo ripetere una seconda volta prenotai subito i miei primi due alveari.

Il mio primo apiario
Le mie due prime famiglie d’api mi furono consegnate verso la fine di maggio di quello stesso anno. 
Passai qualche giorno prima a depositare le due arnie che le avrebbero dovute ospitare e andai, di buon’ ora, qualche giorno più in là a ritirarle. Con calma e disinvoltura, dopo averle accuratamente sigillate con del nastro adesivo in carta, Elio mi aiutò a sistemarle correttamente nel bagagliaio del mio Touran. Quindi, iniziò il lungo viaggio in compagnia di questi insoliti e inusuali passeggeri in direzione apiario. Decisi di portare le api in collina a circa 700 mt di altitudine dove ho la fortuna di possedere una piccola casetta dislocata fra campi d’erba per foraggio e boschi di castani, tigli, querce, larici, pini mugo, roveri ed altra flora locale. La distanza da dove ritirai gli alveari a dove avrei dovuto posizionarli è di circa una trentina di chilometri, ma quel viaggio sembrò il più lungo della mia vita e probabilmente non lo potrò mai più scordare. Il Touran sembrava aver due motori uno rombava anteriormente e l’altro posteriormente, nella mia mente un mare di pensieri si rimescolavano vorticosamente come frutta in un frullatore: “e se delle api riuscissero ad uscire? Metti caso dovessi rimanere coinvolto in qualche tamponamento? E se mai mi capitasse di dover frenare bruscamente? Come farò ad affrontare i tornanti senza combinare guai? Terrà il nastro con cui Elio ha imballato le arnie? E se mi dovessero fermare dei vigili urbani? “ Giunto a destinazione dopo aver consumato sicuramente molta più adrenalina che carburante, felice per essere riuscito ad arrivare indenne preservando altresì l’incolumità dell’importante carico stivato nel bagagliaio, colmo di gioia, andai a depositare i miei primi alveari nella postazione che in precedenza avevo preparato con molta cura e amore.

Limontasca, piccolissima frazione del comune di Oliveto Lario, situata a 657 mt sul livello del mare è un’incantevole località, quasi montana, stretta nell’affascinante morsa fra Valtellina e Valchiavenna che la cingono alle spalle delimitandone il suo lato nord, fra la Grigna e la Grignetta che le sorridono ogni mattina al nuovo sorgere del sole dipingendone il suo lato est, fra quel ramo del lago di Como che protendendosi verso Lecco e la Brianza la consegna nelle braccia di un caldo e profondo sud e fra il Monte San Primo che sovrastandola ad ovest scandisce ogni sera, con metodica precisione, l’arrivo del tramonto al repentino calar del sole. Limontasca è anche la località in cui prese vita il mio primo indimenticabile piccolo apiario. A inizio primavera avevo disposto delle piante d’alloro a delimitare lo spiazzo di terra, nel quale avrebbero dovuto alloggiare i due alveari, con l’intenzione di formare una siepe che li potesse proteggere dai venti freddi e fastidiosi provenienti da nord, nord est e nord ovest. Un’idea questa che l’esperienza mi ha poi insegnato essere vincente e che mi sento di consigliare a chiunque senza alcuna esitazione. Al corso ci fu inoltre insegnato di rivolgere l’ingresso dell’alveare verso sud ma, da bravo Brianzolo, Elio suggerì fra le righe che verso est sarebbe stato meglio, perché raggiunte prima dai raggi del sole le api avrebbero iniziato a lavorare di buon’ora riuscendo a produrre più miele. È risaputo che noi brianzoli, razza alla quale sono fiero di appartenere, spesso e volentieri modifichiamo la teoria a favore della pratica soprattutto quando così facendo riusciamo a incrementare il frutto della nostra attività. Così senza esitazione, da bravo allievo, orientai i miei due primi alveari verso est. Con il senno di poi e con l’esperienza maturata in campo mi sento di consigliare che il giusto compromesso sia in realtà un posizionamento verso sud est con un occhio di riguardo più verso l’est. Esibendomi in un gesto di bricolage estremo in prossimità delle due nuove arnie riuscii anche a costruire un piccolo laghetto artificiale che potesse servire alle mie nuove inquiline per abbeverarsi.

Nel prato tutt’intorno al mio primo piccolo apiario invece seminai piantine in grado di produrre fioriture di comprovato interesse mellifero. Ed ecco allora che come per incanto: “la dove c’era l’erba ora c’è” un susseguirsi di rigogliose fioriture che si protraggono lungo quasi tutto l’arco della stagione apistica. Così piantine di timo, timo serpillo, lavandula stoechas, lavanda nana, maggiorana, borragine, coriandolo, echinacea e menta acquatica (seminata in prossimità del laghetto), da primavera a fine estate, colorano di caldo tutto l’intorno. Avendo inoltre la fortuna di possedere una piccola casetta in quel di Limontasca, ma con annesso anche una discreta quantità di terreno ho anche deciso di utilizzare questo importante spazio piantumandolo con alberi in grado di avere fioriture ad alto potenziale nettarifero e che fossero in grado di fornire nutrimento alle mie api in quei periodi della stagione in cui il foraggio scarseggia. Ho così provveduto a mettere a dimora degli alberi di Paulownia con fioritura precoce primaverile, evodia Dainelli (molto nettarifera fiorisce in agosto), tilia Henryana (una varietà di tiglio che fiorisce a settembre) e hovenia dulcis. Con il tempo, inoltre, mi sono reso conto di quanto le api sapessero anche apprezzare le fioriture dei lamponi, delle more, dei mirtilli e dei ribes che anni prima invece avevo piantato pro domo mia. Allo stesso modo esse dimostrarono di gradire anche le fioriture di inizio primavera degli alberi da frutto già presenti da anni nel terreno circostante.

Decisi di potenziare la flora nettarifera presente sul mio terreno non certo con la presunzione che le nuove piantine e i nuovi arbusti messi a dimora potessero servire ad incrementare una possibile produzione mellifera, ma con la convinzione che potessero almeno servire a differenziare un pochino la raccolta di polline e nettare e a fornire nutrimento alle mie nuove vicine di casa in periodi di scarse fioriture. Con l’arrivo delle mie nuove coinquiline alla fine anche l’ambiente circostante alla nostra casetta ne trasse giovamento, con la comparsa di nuove e rigogliose fioriture e con la presenza di valorose sentinelle volanti pronte a conservarne la loro salubrità ed il loro sviluppo, impavide nel preservare l’ambiente e la biodiversità circostante e generose nell’impollinare i miei molti alberi da frutto che dal quell’anno iniziarono a regalarmi copiosi raccolti come fino ad allora non era mai accaduto.




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