Così come, da incallito Vespista, vi
dico che la passione per la Vespa
non la si può spiegare perché la
Vespa più che uno scooter è uno
stato mentale, allo stesso modo vi
racconto che anche la passione
per le api non la si può spiegare.
Essa, infatti, non è qualcosa che
nasce nel tempo o che impari osservando, la passione per le api
viene da dentro.
È un sentimento che inizialmente
cerchi di nascondere con pudore,
quasi un non so che di cui vergognarsi, che diviene però senso di
profonda gioia e di grande emozione da condividere con il mondo
intero quando finalmente, dopo il
tuo primo corso didattico, riesci a
diventare con immensa soddisfazione un berger des abeilles.
Così per non voler sfuggire a questa regola granitica vi confesso che
la mia passione per le api me la son portata dentro fin da ragazzino e la sentivo crescere con me
affascinato da queste meravigliose
creature alate che volteggiano come piccole virgole rumorose sospese nel cielo accarezzando prima uno poi l’altro fiore fino a
scomparire più tardi all’orizzonte
mentre fanno ritorno al proprio
alveare.
Come un adolescente che cresce,
che in un impeto di coraggio velato
da una coltre di timidezza e d’imbarazzo da far quasi tenerezza,
sente il bisogno di dichiarare i suoi
sentimenti alla propria amata allo
stesso modo il portatore sano di
passione per le api prende coscienza di questa insolita deviazione e inizia a condividerla con le
persone di cui più si fida: nasce
così il momento della consapevolezza! È proprio questo il momento
in cui senza più nessun pudore e
nessuna vergogna inizi a cercare la
strada più breve e migliore per
riuscire ad imparare l’arte dell’apicoltura.
La mia avventura apistica iniziò in
un fine gennaio di molti anni or
sono a Sirtori, una ridente località
della Brianza Lariana, in una splendida cascina nella quale tutto sapeva di buono e tutto intorno si
assaporava il gusto di pura campagna. Iniziò un sabato pomeriggio,
accompagnato dalla prima neve di
quel lungo e freddo inverno, eravamo una trentina di corsisti che
preso possesso del proprio posto
all’interno di un aula, per la verità
un po’ improvvisata, iniziarono a
guardarsi con consapevole sospetto, con saggia circospezione e
alla fine anche con compiacente
meraviglia mentre tutto intorno a
loro, nell’attesa che arrivasse il
maestro, era solo il rumore della
ventola di una calda stufa a pallet
che rollava a pieni giri nell’improbabile tentativo di riscaldare
un’ambiente molto più grande di
lei.
Finalmente ecco apparire Elio: il
maestro. Fece con eleganza i dovuti onori di casa e ci presentò la sua
equipe, il fratello Alfonso e l’amico
Umberto, in realtà omise di presentarci il quarto componente di
questa eccezionale banda: la sua
simpaticissima mamma che a causa di questa manchevole e forse
voluta omissione non avemmo
avuto modo di conoscere personalmente, ma che imparammo ad
apprezzare per lo splendido caffè
che ci preparava nell’intervallo di
quei pomeriggi di lunghe lezioni.
Umberto, parlando il primo sabato
pomeriggio, ci spiegò la parte introduttiva quella relativa alla biologia dell’ape, alle varie specie di api
esistenti e nell’ambito dell’
Apis mellifera alle varie razze in essa presenti. Poi fu la volta di Elio
che ci dedicò perle di saggezza raccontandoci dell’alveare dei suoi
abitanti, delle attività svolte dalle
operaie, del volo nuziale della regina e dell’ingrata fine del povero
fuco.
Il loro parlar d’api ci affascinava,
l’entusiasmo e la passione che trasudava da quel loro grande e profondo sapere su questo splendido
universo ape, per certi versi a noi
ancora ignoto, ci coinvolgeva a tal
punto da farci sentire un unico
insieme esattamente quasi come
quell’unico insieme che è il superorganismo presente all’interno
dell’alveare.
Finii il corso dopo quattro interessantissimi sabato pomeriggi passati in quel di Sirtori ad ascoltare attentamente altrettante entusiasmanti lezioni di quel corso veramente molto ben organizzato, ma
la mia decisione iniziale sarebbe
stata quella di abbandonare l’idea
di praticare l’apicoltura, se non
fosse altro per il terrore di dover
aprire delle arnie al cui interno si
sarebbe rivelata la presenza di un
numero variabile fra i 70.000 e i
90.000 insetti pronti a colpirmi con
il loro pericolosissimo dardo avvelenato.
Raccontai questa avventata decisione a Stefania la mia adorata
mogliettina e complice consapevole, fervida sostenitrice nell’incoraggiarmi a mettere in pratica tutte le
idee più malsane che di volta in
volta passano per la mia mente.
Anche in quell’occasione Stefania
non esitò un attimo nel sostenermi, poche e coincise parole bastarono a convincermi: “è tanto tempo che desideri avere delle api ora
che finalmente hai fatto un corso
d’apicoltura potresti iniziare con
due soli alveari e se poi non ti dovesse piacere li potresti sempre
riportare ad Elio”. Così colpito
nell’orgoglio e senza nemmeno
farmelo ripetere una seconda volta prenotai subito i miei primi due alveari.
Le mie due prime famiglie d’api mi
furono consegnate verso la fine di
maggio di quello stesso anno.
Passai qualche giorno prima a depositare le due arnie che le avrebbero dovute ospitare e andai, di
buon’ ora, qualche giorno più in là
a ritirarle. Con calma e disinvoltura, dopo averle accuratamente sigillate con del nastro adesivo in
carta, Elio mi aiutò a sistemarle
correttamente nel bagagliaio del
mio Touran. Quindi, iniziò il lungo
viaggio in compagnia di questi insoliti e inusuali passeggeri in direzione apiario. Decisi di portare le
api in collina a circa 700 mt di altitudine dove ho la fortuna di possedere una piccola casetta dislocata
fra campi d’erba per foraggio e
boschi di castani, tigli, querce, larici, pini mugo, roveri ed altra flora
locale. La distanza da dove ritirai
gli alveari a dove avrei dovuto posizionarli è di circa una trentina di
chilometri, ma quel viaggio sembrò il più lungo della mia vita e
probabilmente non lo potrò mai
più scordare.
Il Touran sembrava aver due motori uno rombava anteriormente e
l’altro posteriormente, nella mia
mente un mare di pensieri si rimescolavano vorticosamente come
frutta in un frullatore: “e se delle
api riuscissero ad uscire? Metti caso dovessi rimanere coinvolto in
qualche tamponamento? E se mai
mi capitasse di dover frenare bruscamente? Come farò ad affrontare i tornanti senza combinare
guai? Terrà il nastro con cui Elio ha
imballato le arnie? E se mi dovessero fermare dei vigili urbani? “
Giunto a destinazione dopo aver
consumato sicuramente molta più
adrenalina che carburante, felice
per essere riuscito ad arrivare indenne preservando altresì l’incolumità dell’importante carico stivato nel bagagliaio, colmo di gioia, andai a depositare i miei primi alveari
nella postazione che in precedenza
avevo preparato con molta cura e
amore.
Limontasca, piccolissima
frazione del comune di Oliveto Lario, situata a 657 mt sul livello del
mare è un’incantevole località,
quasi montana, stretta nell’affascinante morsa fra Valtellina e Valchiavenna che la cingono alle spalle delimitandone il suo lato nord,
fra la Grigna e la Grignetta che le
sorridono ogni mattina al nuovo
sorgere del sole dipingendone il
suo lato est, fra quel ramo del lago
di Como che protendendosi verso
Lecco e la Brianza la consegna nelle braccia di un caldo e profondo
sud e fra il Monte San Primo che
sovrastandola ad ovest scandisce
ogni sera, con metodica precisione, l’arrivo del tramonto al repentino calar del sole. Limontasca è anche la località in cui prese vita il
mio primo indimenticabile piccolo
apiario.
A inizio primavera avevo disposto
delle piante d’alloro a delimitare lo
spiazzo di terra, nel quale avrebbero dovuto alloggiare i due alveari,
con l’intenzione di formare una
siepe che li potesse proteggere dai
venti freddi e fastidiosi provenienti
da nord, nord est e nord ovest.
Un’idea questa che l’esperienza mi
ha poi insegnato essere vincente e
che mi sento di consigliare a chiunque senza alcuna esitazione.
Al corso ci fu inoltre insegnato di
rivolgere l’ingresso dell’alveare verso sud ma, da bravo Brianzolo, Elio
suggerì fra le righe che verso est
sarebbe stato meglio, perché raggiunte prima dai raggi del sole le
api avrebbero iniziato a lavorare di
buon’ora riuscendo a produrre più miele. È risaputo che noi brianzoli,
razza alla quale sono fiero di appartenere, spesso e volentieri modifichiamo la teoria a favore della
pratica soprattutto quando così
facendo riusciamo a incrementare
il frutto della nostra attività. Così
senza esitazione, da bravo allievo,
orientai i miei due primi alveari
verso est. Con il senno di poi e con
l’esperienza maturata in campo mi
sento di consigliare che il giusto
compromesso sia in realtà un posizionamento verso sud est con un
occhio di riguardo più verso l’est.
Esibendomi in un gesto di bricolage estremo in prossimità delle due
nuove arnie riuscii anche a costruire un piccolo laghetto artificiale
che potesse servire alle mie nuove
inquiline per abbeverarsi.
Nel prato tutt’intorno al mio primo
piccolo apiario invece seminai
piantine in grado di produrre fioriture di comprovato interesse mellifero. Ed ecco allora che come per
incanto: “la dove c’era l’erba ora
c’è” un susseguirsi di rigogliose
fioriture che si protraggono lungo
quasi tutto l’arco della stagione
apistica. Così piantine di timo, timo
serpillo, lavandula stoechas, lavanda nana, maggiorana, borragine,
coriandolo, echinacea e menta acquatica (seminata in prossimità del
laghetto), da primavera a fine estate, colorano di caldo tutto l’intorno.
Avendo inoltre la fortuna di possedere una piccola casetta in quel di
Limontasca, ma con annesso anche una discreta quantità di terreno ho anche deciso di utilizzare
questo importante spazio piantumandolo con alberi in grado di
avere fioriture ad alto potenziale
nettarifero e che fossero in grado di fornire nutrimento alle mie api
in quei periodi della stagione in cui
il foraggio scarseggia.
Ho così provveduto a mettere a
dimora degli alberi di Paulownia
con fioritura precoce primaverile,
evodia Dainelli (molto nettarifera
fiorisce in agosto), tilia Henryana
(una varietà di tiglio che fiorisce a
settembre) e hovenia dulcis.
Con il tempo, inoltre, mi sono reso
conto di quanto le api sapessero
anche apprezzare le fioriture dei
lamponi, delle more, dei mirtilli e
dei ribes che anni prima invece
avevo piantato pro domo mia. Allo
stesso modo esse dimostrarono di
gradire anche le fioriture di inizio
primavera degli alberi da frutto già
presenti da anni nel terreno circostante.
Decisi di potenziare la flora nettarifera presente sul mio terreno non
certo con la presunzione che le
nuove piantine e i nuovi arbusti
messi a dimora potessero servire
ad incrementare una possibile produzione mellifera, ma con la convinzione che potessero almeno
servire a differenziare un pochino
la raccolta di polline e nettare e a
fornire nutrimento alle mie nuove
vicine di casa in periodi di scarse
fioriture.
Con l’arrivo delle mie nuove coinquiline alla fine anche l’ambiente
circostante alla nostra casetta ne
trasse giovamento, con la comparsa di nuove e rigogliose fioriture e
con la presenza di valorose sentinelle volanti pronte a conservarne
la loro salubrità ed il loro sviluppo,
impavide nel preservare l’ambiente e la biodiversità circostante e
generose nell’impollinare i miei
molti alberi da frutto che dal
quell’anno iniziarono a regalarmi
copiosi raccolti come fino ad allora
non era mai accaduto.
Nessun commento:
Posta un commento