martedì 25 gennaio 2022

LE API DI SUOR CHIARA

Da sempre l’immaginario collettivo è abituato a vedere nell’ape un essere mistico e metafisico, tanto che molto frequentemente la rappresentazione di questo meraviglioso imenottero è associata a importanti figure religiose.

Risalendo indietro nel tempo, infatti, ci si accorge come fu proprio, per primo, il teologo mussulmano al-Ghazali ad accostare questo splendido insetto all’immagine di Dio. Egli, diede di esso la seguente descrizione: “Guarda le api! Dio ordinò loro di prendere le montagne a dimora e di estrarre dalla loro saliva la cera e il miele, facendo lampada dell’una e guarigione dell’altro. Poi, se mediti su ciò che di meraviglioso c’è nel loro ricorso ai fiori, nella loro preservazione dalle impurità, nell’obbedienza a un capo che è fisicamente più grande e che è il loro principe; non puoi non pensare a quale giustizia ed equità Dio mette in quel principe, al punto che esso sopprime, all’entrata dell’alveare, tutte le api che si siano posate sull’impurità. Non potrai così che restare fortemente meravigliato da tutto ciò”.

Nella descrizione del Paradiso data sia dalla religione ebraica sia da quella cattolica (terra promessa) che da quella mussulmana (attraverso il Corano) vi è sempre riportata la presenza, in esso, di fiumi di miele che scorrono accanto ad altri di latte, di olio e/o di vino. L’ape in seguito venne anche associata alla figura dei Santi, infatti, la leggenda dice che il piccolo Ambrogio (santo protettore delle nostre api), ancora lattante, mentre dormiva fu avvolto da uno sciame d’api che si posò sul suo volto e i numerosi insetti entravano e uscivano dalla sua bocca socchiusa depositando, all’interno di essa, del prezioso miele come testimonianza della sua grande futura saggezza.

Nel tempo questo animale divenne anche un qualcosa di contemplativo al quale ci si avvicinava per cercare di rapportare la realtà terrena e quella spirituale, grazie a ciò, sempre con maggior frequenza, esso riuscì a entrare nella vita e nelle attività monastiche. Molte infatti, sono le figure di religiosi che si dedicarono ad allevare api, basti pensare a Gregor Johann Mendel, frate agostiniano dell’Abbazia di San Tommaso a Brno, precursore della moderna genetica:  proprio grazie ai suoi importanti studi sui caratteri ereditari che ancora oggi si utilizzano le sue leggi per ottenere la selezione della genetica delle api; Lorenzo Langstroth, pastore protestante evangelico americano, fu l’inventore del primo modello di arnia a quadro rimovibile; Johann Dzierzon, un sacerdote, studiò la vita sociale delle api e costruì diversi alveari sperimentali tanto che nel 1838 ideò il primo pratico alveare mobile con il quale fu resa possibile la manipolazione dei singoli favi senza che essi venissero distrutti. Nel 1835, poi, scoprì che i fuchi erano prodotti da uova non fecondate. I suoi risultati causarono una rivoluzione negli studi di genetica sugli incroci delle api. L’abbate Emile Warré ha progettato e costruito un alveare che fosse il più prossimo possibile alle condizioni di vita naturali delle colonie d’api, pubblicando altresì diversi libri sull’apicoltura tra cui: “L’apicoltura per tutti” in cui descrive le caratteristiche del suo alveare e spiega come questo sia in grado di mettere chiunque nella condizione di poter allevare api. Karl Kehrlé, nato in Germania, una volta presi i voti si trasferisce all’Abbazia Benedettina di Buckfast, in Inghilterra, e nella sua nuova vita monastica prenderà il nome di Padre Adams dedicando la gran parte della sua esistenza alla selezione di una nuova razza d’ape nella quale egli ricercò, attraverso diversi incroci, le seguenti caratteristiche: un buon temperamento, una bassa propensione alla sciamatura e un’ottima laboriosità.

Il caso vuole, sempre per restare in tema di api e misticità, che la mia professione di medico mi portò a conoscere la signora Rosa, una paziente allora di 80 anni, che giunse in ospedale, alla mia osservazione, a causa di una brutta frattura di polso. La scomposizione era al limite del chirurgico ma l’età della paziente, anche se si trattava di una persona in ottima forma fisica, mi rendeva perplesso sulla necessità di portarla in sala operatoria per sottoporla ad intervento. Vista la mia titubanza, la signora Rosa ad un certo punto della visita, con tono anche un po’ indispettito, esclamò: “ Guardi dottore che io ho bisogno di recuperare la mia manualità poiché gestisco l’apiario nell’azienda agricola di famiglia”. A quel punto, anche per solidarietà fra apicoltori, non ebbi più alcuna esitazione e decisi di ridurre chirurgicamente la frattura per garantirle una migliore e più precoce ripresa della sua attività funzionale. E’ proprio grazie a questo evento che conobbi Giuditta, sua nipote, alla quale la zia sta trasmettendo tutta la sua esperienza e il suo sapere apistico affinché possa un domani proseguire la preziosa attività di famiglia. Un giorno, Giuditta mi chiamò dicendomi che una sua conoscente suora avrebbe avuto piacere di ospitare delle colonie d’api all’interno del grande parco del convento da lei diretto, convento che funge da casa di riposo per altre anziane consorelle. La casa si trova nel comune di Barzanò, un paese incantato contornato dal verde di una dolce Brianza Lecchese, disperso fra le affascinanti sinuosità di tenere colline che avvolgono il lento scorrere d’acqua dei fiumi Adda e Lambro. Dai suoi confini si gode un panorama suggestivo che spazia dal San Genesio al Resegone, dalle Grigne ai Corni di Canzo in un turbinio di sensazioni che ti proiettano verso la catena delle Alpi dominata a nord est dal monte Rosa, fino all’immensa pianura lombarda che ti saluta nel suo lento protendersi in direzione degli Appennini. Senza alcuna esitazione, decisi di portare in dono a Suor Chiara due delle mie famiglie preparate a inizio primavera. Non appena giunto al convento conobbi questa affascinante persona e proprio grazie alla sua dolcezza, addomesticata da quel non so che di onesta sincerità, capii subito, senza alcuna ombra di dubbio, che le mie api avevano raggiunto il posto migliore che mai avesse potuto attenderle: quel limbo di terra che segna il sottile confine fra la sacralità della vita umana e la misticità della vita celeste!

Così una volta sistemati i due alveari e dato un’ultima occhiata a quel nuovo e meraviglioso parco, che da ora in  poi le avrebbe ospitate, aprii le porticine delle casette quindi, con celeste serenità, alzai lo sguardo verso l’alto per osservare un’ultima volta le mie compagne di viaggio e di lavoro volteggiare come tante virgole alate nell’azzurro del cielo di questo nuovo e paradisiaco “eden”. Esse, probabilmente, dal profondo della loro saggezza, con il loro incantevole volo mi stavano indicando la strada da percorrere per raggiungere quella sottile linea di confine che segna il limite fra il nostro umano sapere e la divina saggezza.

 

 

 

 

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