Sperimentare, nel suo
stretto senso etimologico, vuol dire sottoporre
qualcuno e/o qualcosa a
prove e a verifiche per valutarne le
qualità, l’efficienza e/o il rendimento; in senso più figurativo; però,
vorrebbe anche indicare il provare
a cercare un modo utile per raggiungere un determinato obiettivo.
Sperimentare, per un apicoltore
bizzarro e irrequieto quale sono io,
vuol anche dire mettere in pratica
delle idee; a volte addirittura poco
ortodosse, per cercare di rendere
il più fisiologica possibile la qualità
della vita delle api che custodisco
all’interno dei miei alveari.
Ebbene sì, vi devo confessare che
ormai da qualche tempo mi
“frullava” per la testa l’idea stravagante di abbandonare la somministrazione di nutrizione di supporto
fatta in modo classico con nutritori
a depressione (quelli che personalmente utilizzo), a tazza e/o a tasca
piuttosto che altro ancora per provare a fornire alle mie api un sostegno alimentare non servito a
domicilio ma dispensato in natura.
L’obiettivo? Obbligarle così a uscire
dal loro nido per andare a bottinare nell’ambiente circostante, proprio come il loro temperamento
richiede. Si trattava, inizialmente, di trovare
un qualche oggetto che fosse utile
a questo scopo. Ma, non avendo
voglia di “peregrinare” per botteghe e grandi market alla ricerca di
un qualche cosa di utile allo scopo
esponendomi, altresì, a una insopportabile calura, posi la mia attenzione su di un manufatto recuperabile a chilometri meno che zero.
Vi chiederete di che cosa si tratti.
Ecco: una bella bottiglia in PET alimentare dismessa poiché il suo
contenuto in H2O era stato prosciugato dai nostri corpi assetati, al
fine di contrastare la lenta e progressiva evaporazione dei liquidi
fisiologici che, minuto dopo minuto, evaporavano dalla superficie
cutanea a causa di un’insopportabile arsura dell’ambiente circostante, costantemente sottomesso alla
volontà di un ennesimo arido anticiclone africano. Così, in una calda
giornata di questo torrido agosto,
dopo diversi tentennamenti ruppi
gli indugi e mi buttai a capofitto
nell’improbabile impresa di poter
concretizzare la mia idea.
Arrivato a questo punto, avendo
già individuato il luogo in cui avrei
dislocato il dispensatore naturale
di nettare artificiale, si trattava solo di capire dove e quanti fori praticare nel prezioso contenitore in
PET per riuscire a renderlo un efficace dispensatore di nutrimento in
grado di rivelarsi effettivamente
utile alle tante e affamate “apette”
del mio apiario. Scoprii, dopo qualche tentativo, che la soluzione migliore era quella di praticare piccoli
forellini fatti con un fine ago da
cucito sul tappo e sul collo della
bottiglia, in prossimità del tappo
stesso. Risolto questo problema
preparai un gustoso sciroppo (1
litro di acqua e 1 kg di zucchero)
addizionato con Bee ‘Full Plus, un
integratore complementare, ricco
in oligoelementi e oli essenziali.
Un prodotto utile per la nutrizione
delle api e capace di migliorare la
longevità e la vitalità della famiglia.
Come? Ne stimolano il sistema immunitario, nonché valido supporto
utile per proteggere le api con un
approccio naturale che non richiede l’introduzione di prodotti chimici all’interno dell’alveare.
Collocai questo semplice nutritore
a depressione contenete l’invitante
sciroppo a circa due metri di altezza ancorandolo a un ramo di una
betulla, dislocata a più di 50 metri
dagli alveari, in maniera tale che la
raccolta dello stesso risultasse per
le mie infaticabili operaie alate una
normale operazione di bottinatura,
non in grado di stimolare in esse
eventuali istinti saccheggiatori. La
scelta di posizionare il nutritore a un ramo di un albero, a contatto
con il tronco, l’ho attuata perché in
questo modo lo sciroppo rimaneva
per tutto il giorno al riparo dai raggi solari, protetto dalle fronde ricche di verdeggiante fogliame che
adornavano l’imponente betulla.
Dopo aver cosparso il tappo della
bottiglia di sciroppo, così da diffondere il suo profumo nell’ambiente
circostante, passai il primo giorno
ad aspettare l’arrivo di una bottinatrice, scoprendo che qualche
ape effettivamente provò a ronzare nei pressi della betulla senza
tuttavia venir richiamata dal profumo del nettare artificiale, che con
grande passione avevo miscelato
per loro. Per accelerare la sperimentazione, e per non dover rischiare di passare altre intere giornate sotto alla betulla nell’attesa
dell’arrivo di qualche esploratrice
temeraria, presi un favo dismesso,
gli versai sopra qualche goccia di
sciroppo e lo misi in prossimità
degli alveari, sempre rispettando
una debita distanza di sicurezza
per non generare nelle famiglie
un’istigazione al saccheggio.
In questo caso la mia attesa fu
molto più breve, dopo circa 30 minuti due o tre api bottinatrici si
posarono sul favo attirate probabilmente dal profumo dello sciroppo, ma sicuramente anche da
quello della cera riscaldata dai raggi del sole. A quel punto presi con
delicatezza il favo su cui si erano
posate le api e lo portai sotto al
mio “geniale” nutritore a depressione, accostandolo al tronco
dell’albero e sostenendolo con una
scala appoggiata allo stesso; quindi, feci una lieve pressione sulla
bottiglia così che qualche altra goccia cadde sul telaio del favo, dando
la possibilità alle api di poter capire che si trovavano nei pressi di
una importante “miniera” di prezioso e appetitoso cibo. Le esploratrici iniziarono a girovagare un po'
più freneticamente in quell’angolo
di favo posto al di sotto della bottiglia e sul quale erano trasudate le
gocce di sciroppo, senza però rivolgere la loro attenzione al contenitore sovrastante, dopo di che ingerirono il nettare e volarono verso il
loro alveare. Pochi minuti ancora e
sul favo arrivò un numero un po'
più cospicuo di bottinatrici, circa 7
o 8, ma anch’esse girarono su
quell’angolo di favo senza rivolgere
attenzione al nutritore sovrastante, raccolsero altre gocce di sciroppo e volarono via. Pochissimo tempo e un gruppo ben più consistente di api alla ricerca di cibo fece
ritorno al favo e finalmente, dopo
circa una quarantina di minuti,
dall’inizio delle operazioni, una di
loro si posò sulla bottiglia iniziando a suggere lo sciroppo da uno
dei fori che avevo meticolosamente preparato. Contrariamente alle
mie aspettative ci volle ancora abbastanza tempo prima che anche
altre bottinatrici scoprissero che
per avere lo sciroppo avrebbero
dovuto posarsi sulla bottiglia e
suggere dai fori in essa presenti,
ma a quel punto tutte le api compresero come funzionava il diabolico arcano che avevo messo in atto.
Quando l’andirivieni di api si fece
ben consolidato, una piccola
spruzzatina di farina mi consentì di
poter rintracciare l’alveare dal quale venivano. Inizialmente potei
constatare che la provenienza era
data da un solo nido ma nei giorni
a seguire anche api di altri alveari
iniziarono a frequentare “l’happy
hours” che avevo predisposto per
loro.
Sicuramente, anche se il dispositivo da me creato è ancora molto
primitivo e decisamente rudimentale mi ha consentito di verificare la fattibilità di un’idea che da
molto tempo stimolava la
mia curiosità. Quale? Quella
di fornire nutrizione di supporto alle api facendo si che
esse stesse se la vadano a
cercare, come avviene normalmente in natura, continuando a bottinare nell’ambiente circostante al loro
alveare piuttosto che rimanere disoccupate a “poltrire”
all’interno del proprio nido
avendo già, come si suol dire, “la pappa pronta”.
Nei mesi a venire quando
l’attività in apiario si sarà
sensibilmente ridotta avrò
modo di sviluppare con
maggior accuratezza questo
sistema di nutrizione esterna rendendolo sicuramente
più funzionale e maggiormente “appetibile” anche da
un punto di vista estetico
così che ogni qualvolta potrò
osservare le mie apette bottinare dell’ottimo sciroppo
all’ombra di una betulla invece che di un tiglio e/o altro
ancora mi ricorderò come
sperimentare sia a tutti gli
effetti il succo della vita ciò
che ci permette di crescere
fare esperienza e perché no:
realizzare i nostri sogni più
belli!
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